Marco Amelia: "Oddo e Gattuso, che carisma"

Il portiere compagno di squadra nel Milan e nell'Italia mondiale racconta i tecnici rivali: «Rino era già un allenatore, Massimo voleva fare il dirigente e si è scoperto un gran tecnico»

UDINE. C’era anche lui quando nel 2006 Massimo Oddo e Rino Gattuso alzavano la Coppa del Mondo al cielo, il cielo di Berlino. E c’era anche quando nel maggio del 2011 festeggiavo quello che è stato l’ultimo scudetto del Milan. Marco Amelia, portiere, una carriera cominciata in modo folgorante con un tricolore nella “sua” Roma (arrivando dalla Primavera) e proseguita con le tappe di Livorno, Palermo e Genoa prima di approdare in rossonero e quindi al Chelsea, è un osservatore attento, mai banale.

Parla dei due compagni, raccoglie l’invito su Scuffet e Meret, i due “portierini” di scuola bianconera, e quindi non si tira indietro quando si tratta di dare un giudizio esterno sul mondo Udinese con all’orizzonte la sfida in zona Europa con il Diavolo, il duello tra Oddo e Gattuso.

Amelia, che dire di “quei due”?

«Che per me sono stati due straordinari compagni di squadra, al Milan e in Nazionale. Ho vissuto entrambi gli addii da giocatore al Milan, nello spogliatoio rossonero erano personaggi molto importanti per carisma, carattere e modi di fare».

Si vedeva che erano destinati alla panchina?

«A quell’epoca solo Rino mostrava già delle doti da allenatore, infatti credo che la sua scelta di giocare al Sion l’ultima fase della carriera fosse anche dettata dalla possibilità di cominciare un nuovo percorso».

E Oddo?

«Massimo, tra l’altro per sua stessa ammissione, sembrava più indirizzato verso una carriera da dirigente, poi invece si è “scoperto” allenatore e aggiungerei un gran allenatore, alla luce dei risultati ottenuti fino ad oggi».

Il “Ringhio” in versione tecnico rossonero convince Amelia?

«Le impegnative esperienze trascorse tra Svizzera, Grecia e Pisa lo hanno svestito del ruolo da calciatore e trasformato in allenatore. Sta facendo delle buone cose al Milan, per lui è importante riuscire a trasmettere entusiasmo e voglia di fare ad un ambiente che deve ricreare delle basi solide per costruire un futuro all’altezza del Milan».

E l’Udinese targata Oddo?

«Lui dopo la bella esperienza di Pescara dove ha riportato il club in A e valorizzato molti ragazzi, è ripartito da Udine, piazza ideale per poter lavorare bene: fin da subito ha avuto un impatto importante e i risultati sul campo ne testimoniano tutto il valore».

Già, i giovani: in Friuli ne ha trovati tanti di tutte le nazionalità e il friulano Scuffet in panchina, mentre Meret è in prestito alla Spal...

«Simone ha avuto delle difficoltà in questo inizio di campionato, difficoltà che ci possono stare. Ma ha delle qualità importanti e l’età è dalla sua parte. Meret invece è rientrato da poco dopo una serie di problemi fisici e da subito ha fatto vedere di che pasta è fatto: lo vedo tra i migliori portieri italiani nei prossimi anni».

Il modello Udinese la convince?

«Credo che i fatti e i numeri parlino da soli: 23 anni consecutivi di serie A, uno stadio di proprietà che fa invidia alle grandi squadre e la capacità di saper scovare giovani talenti da valorizzare e trasformare in importante risorsa per il futuro del club. Il calcio si fa così, con competenza, programmazione, pazienza, mentalità imprenditoriale. Quello che magari il tifoso fa più fatica a comprendere è che nello sport esistono dei cicli che iniziano e finiscono: l’importante è avere le capacità e le idee per ricominciare una volta esaurito un ciclo, sapendo cosa fare e come farlo».

Come vede il futuro bianconero?

«Non parlo di risultati o di piazzamenti. Osservo le scelte. Per avere risultati servono competenza, programmazione e strutture. A Udine la società sta lavorando da anni per essere all’avanguardia in questo senso. Conoscendo molto bene il calcio inglese anche grazie all’esperienza fatta al Chelsea, sono certo che Gino Pozzo con il Watford abbia studiato e analizzato molto bene il modello organizzativo britannico, che si fonda sulle strutture di proprietà, sull’attenzione ai dettagli, sulla crescita economica e sportiva di un’azienda che principalmente fa calcio e offre uno spettacolo».

Ma i tifosi Amelia in Italia sono molto legati al risultato tangibile, immediato...

«Non è sbagliato. Il calcio oltre che uno sport e un’azienda è anche e soprattutto un fattore sociale, che coinvolge le persone, i loro sogni e i loro sentimenti: sotto questo aspetto si può fare un salto di qualità a Udine, per migliorare il rapporto con la piazza, risvegliando l’amore e la passione del popolo bianconero. Quando vedo le partite dell’Udinese in tv li sento cantare dal primo all’ultimo minuto. Lì c’è amore per la maglia».

©RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Argomenti:udinese calcio

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto