L’UDINESE DOVEVA DIVENTARE DONNA?

«E che, c’ho scritto giocondo in fronte?». Riesumando una frase che, storpiata, divenne per anni un simpatico cavallo di battaglia di Carosello, Gianpaolo Pozzo potrebbe rispondere a chi coinvolge la proprietà bianconera nelle ultime difficoltà del calcio friulano, dal Pordenone rimasto di colpo senza campo di gioco, dopo la poca voglia dell’Udinese di condividere il Friuli, complici le paure e i protocolli lasciati in eredità dall’emergenza coronavirus, alla retrocessione con l’algoritmo – a tavolino – del Tavagnacco che da anni duellava nella serie A femminile. In poche parole: perché l’Udinese non ha voluto diventare donna, come hanno fatto già Juventus, Inter, Milan, Roma, Fiorentina, Sassuolo e Verona?

Questione di costi? Di poca considerazione nei confronti dell’emergente calcio femminile? A questo punto il già citato paròn potrebbe tirare fuori la frase: «E che c’ho scritto giocondo?». Mica può guidare sempre lui la scialuppa di salvataggio in Friuli, l’ha detto a Bergamo anche il presidente dell’Atalanta Percassi alla sezione femminile, lasciata morire perché la Dea ha preferito frequentare solo la A maschile.

Insomma, non è detto che un club di alto livello debba necessariamente investire nel settore “rosa”, ma un pensierino andrebbe fatto, visto che il concetto di famiglia nel mondo del tifoso è sempre più cavalcato. A meno di ricorsi a segno o di ripescaggi (ai danni di un Bari in difficoltà) il Tavagnacco ripartirà dalla B. Chissà se l’Udinese ci penserà... —

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