Luca Gotti, il vice che non vuole fare il capo

Prima giocatore, ora tecnico: è la passione la parola chiave. E ora l'Udinese...
Udinese's coach Luca Gotti gestures before the italian Serie A soccer match Udinese Calcio vs Spal at the Friuli-Dacia Arena stadium in Udine, Italy, 10 November 2019 ANSA/FRANCO DEBERNARDI
Udinese's coach Luca Gotti gestures before the italian Serie A soccer match Udinese Calcio vs Spal at the Friuli-Dacia Arena stadium in Udine, Italy, 10 November 2019 ANSA/FRANCO DEBERNARDI

UDINE. Storia di un vice che non vuole fare il capo-allenatore. Incredibile in un mondo – quello del Pallone – spesso macchiato, fin dalla base, dall’arrivismo.

Ma non è questa la vera fotografia di Luca Gotti, il tecnico che l’Udinese vuole convincere a restare in pianta stabile sulla propria panchina per centrare l’obiettivo di una stagione tranquilla, di crescita.

Meglio provare così: storia di un innamorato del calcio che fin dall’infanzia, nella sua Contarina, ha coltivato certi valori, seguendo la passione di papà Dino, preferendo essere prima un istruttore che un primo allenatore, mestiere che, assaggiato un paio di volte, non è mai riuscito a rapirlo. È da qui che l’Udinese deve cominciare per capire Gotti, il Normal One.

Partiamo allora dal 13 settembre 1967. È nato ad Adria il “nostro” Luca, ma è un figlio del Delta del Po, terra crudele solo 16 anni prima, terra di calcio di provincia, quello ruspante, fatto di categorie da scalare per sognare i grandi palcoscenici: dalla Promozione alla D, quindi C, B e A.

«Vedere ragazzi passare dai dilettanti alla terza serie o addirittura ai cadetti non era impossibile», racconta Sergio Sottovia, giornalista, storico dei gol nel Polesine con i suoi libri, gli articoli puntuali e precisi, dove trovano posto anche i Gotti.

A cominciare da Dino. Perché è attraverso il padre che si possono capire le idee di Luca anche adesso. In famiglia c’è l’ala femminile – raccontiamo sfruttando il “gergo” calcistico – composta da mamma Sonia e dalla sorella Emita che vivono adesso sul Garda. Sulla altra “fascia” Dino e Luca: il papà lavora allo zuccherificio e gioca a cavallo tra gli Anni 60 e 70.

La sua esperienza ruota attorno al Contarina e, si dice, avrebbe potuto fare il salto di qualità nel Sottomarina arrivato fino alla serie C, prima della fusione con il Clodia con Teofilo Sanson “regista” dell’operazione e Franco Dal Cin dirigente: corsi e ricorsi del calcio, saranno due personaggi che faranno grande l’Udinese con il ritorno in A e l’operazione Zico.

In casa Gotti, invece, il problema è l’unico allenamento pomeridiano durante la settimana, il direttore dello zuccherificio non lo permette, così Dino è costretto a coltivare la passione per il Pallone coniugandola con il lavoro in Seconda categoria. Fino al 1977, quando diventa allenatore. Vice o capo poco importa, basta trovarsi bene, vivere il calcio come piace a lui, in modo schietto anche nei rapporti con giocatori, colleghi e dirigenti – vi ricorda un tecnico ora all’Udinese? –, tanto più che negli Anni 80, in qualità di esperto della depurazione delle acque, lo zuccherificio gli lascia la possibilità di un orario flessibile che gli permette di svolgere di calarsi ancora di più nel calcio. Nella stagione 1986-’87 è perciò nello staff tecnico del Contarina con Luca giocatore. Che tipo di giocatore? Un difensore. Intelligente, ma i piedi non “cantano” come si suol dire.

Nonostante questo Luca, dopo il diploma all’Istituto Geometri di Rovigo, resta un calciatore di discreto livello e lascia i colori rossoneri di casa per trasferirsi: «Non lo avrei mai fatto se non ci fosse stato un certo presidente», racconterà spiegando i motivi dell’addio al Contarina nel ’91 per trasferirsi prima al Sandonà e quindi Caerano San Marco (tra l’altro promosso in serie C2) fino al ’98, dove fa un po’ come papà Dino. Gioca e lavora. Perché Luca Gotti ha nel cassetto adesso anche due lauree, una in Scienze Motorie, l’altra in Pedagogia e insegna in quegli anni all’Università di Padova.

È il momento per il salto, seguendo la tradizione familiare, tanto più che anche papà Dino nel frattempo non si era fermato a casa, aveva cominciato pure lui a risalire geograficamente il Veneto, diventando via via direttore sportivo, selezionatore delle rappresentative regionali e quindi, osservatore prima del Milan e poi dell’Inter.

È questo il “gancio” che porta Luca proprio a Milanello per allenare una delle squadre del florido vivaio rossonero, nella stagione dello scudetto di Alberto Zaccheroni – come è piccolo il mondo del calcio –. L’anno dopo è di nuovo a casa, intesa come Montebelluna, dove vive tutt’ora e dove ha la famiglia: la moglie Giorgia Vegli, insegnante di sciente motorie al Liceo Primo Levi e grande appassionata di Golf, il figlio Alessandro Giorgio, classe 2007 negli esordienti del club biancoceleste, e la figlioletta Benedetta, pure lei sportiva in erba nel nuoto sincronizzato.

Ma il calcio dei “grandi” (non quello giovanile, per intenderci) chiama Luca. Prima la Pievigina e poi la Virtus Bassano per patron Renzo Rosso, il signor Diesel. Lì, sotto il famoso ponte, la prima delusione, un esonero nel 2004, alla terza stagione, con la squadra in corsa per la promozione. «Con lui la squadra ce l’avrebbe fatta», dirà al termine dell’annata un’altra vecchia conoscenza bianconera, Daniele Pasa, che era a fine carriera da quelle parti. Così Luca riparte dai vivai, da quello della Reggina di Walter Mazzarri, dove un suo ex giocatore, Riccardo Bigon, figlio di Alberto – la piantiamo con i corsi e ricorsi storici in “salsa friulana”? –, è diventato direttore sportivo.

In Calabria Gotti allena la Primavera per due campionati, alleva tra gli altri Antonino Barillà, attualmente in A con il Parma, e si guadagna i galloni sul campo per essere chiamato a Coverciano come ct della Under 17 da Demetrio Albertini, nelle vesti di vice presidente della Federazione post-Calciopoli. Inutile dire dove aveva conosciuto Gotti l’ex centrocampista del Milan che scelse come ct azzurro un compagno di squadra come Roberto Donadoni. Segnatevi di nome. L’avventura nella U17 termina dopo un paio di anni, la mezza delusione di una mancata qualificazione alla fase finale degli Europei in Belgio: passa l’Ucraina, teatro dello stop alla squadra che aveva Alberto Paloschi come elemento di spicco Pordenone.

È il 2008 e questo diventa l’anno chiave della carriera per capire il Gotti allenatore. Nella stagione 2008-’09 guida infatti da “capo” il Treviso in B. Un mezzo disastro, complice una società tutt’altro che attrezzata che lo esonera. L’anno dopo è alla Triestina, la Triestina di Fantinel: fa 7 punti nelle prime quattro giornate nel campionato cadetto, poi una serie negativa che porta a un altro esonero.

Arriva Mario Somma, ma è la squadra ad essere la retrocessione. Ma Luca Gotti non la prende bene: «Credo che il vero spartiacque del mio percorso sia stato il periodo alla Triestina – dichiarò successivamente –. Il momento più duro, non nascondo che dopo Trieste il “cattivo pensiero”, quello di dire “basta”, mi è passato per la testa.

Poi, come è venuto se ne è andato, e ho trovato la forza, lo slancio, la voglia di ripartire, tra l’altro in un ruolo che mi gratifica tantissimo, un ruolo che non trovo riduttivo e mi permette di continuare a imparare». Quello di vice. Prima di Donadoni a Cagliari, Parma e Bologna tra il 2010 e il 2018, poi di Maurizio Sarri nella scorsa stagione al Chelsea, il Chelsea che vincerà l’Europa League lo scorso 29 maggio a Baku.

Intanto Dino, in un giorno di fine ottobre del 2015, se n’è andato, a 70 anni. Resta la sua eredità di un calcio da rispettare, esercitando il proprio ruolo con professionalità e passione, elementi che non devono mai mancare in casa Gotti. Ecco, l’appunto deve finire sul taccuino dei Pozzo.

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