Il ricordo di un ex Udinese: "Forza e incoscienza le nostre armi in più"

UDINE. Giuliano Giannichedda non aveva ancora compiuto 23 anni il 1º giugno del 1997. Era uno dei più giovani della truppa, ma nel girone di ritorno diventò un titolare fisso.
Giuliano, la prima qualificazione in Europa dell’Udinese compie oggi 20 anni.
«Mamma mia che brutta cosa. Come corre il tempo».
Nell’ultimo terzo di campionato avete fatto più punti di tutti. Ricorda?
«E chi se lo dimentica quel campionato? Eravamo diventati una macchina da guerra. La svolta arrivò contro la Juve: vincere a Torino in dieci contro undici fu qualcosa di inimmaginabile».
Cosa pensò quando Zaccheroni non tolse una punta?
«Questo è un pazzo scatenato. Del resto la scelta aveva una sua logica: non avevamo niente da perdere in casa della Juve. E così giocammo con il 3-4-2».
Ma lo avevate provato in allenamento?
«Sì, il mister era un insegnante di calcio e già durante il ritiro estivo eravamo stati istruiti. Non pensavamo di avere risposte così convincenti, eppure sembrava che giocassimo da sempre con il 3-4-3. Un po’ come la Juve di Allegri quando è passata al 4-2-3-1. Le caratteristiche dei giocatori si adattavano perfettamente a quell’assetto».
Non avete mai avuto paura di non farcela?
«No, per il semplice motivo che non ci pensavamo. Dopo il pareggio con il Milan, quando mancavano ancora cinque gare, Pozzo venne in spogliatoio e ci fissò il premio Uefa. Ma noi mica ci pensavamo all’Europa».
Nessuna pressione nemmeno prima dell’ultima gara contro la Roma?
«No. Credo che il nostro segreto sia stata la forza del gruppo e l’incoscienza. Eravamo consapevoli di potercela giocare con tutti, ma con leggerezza.
Ci siamo resi conto la stagione successiva, quando abbiamo cominciato a giocare in Europa, di quello che avevamo fatto e anche di come ci affrontavano le altre squadre: eravamo rispettati perchè quello che facevamo in campo ci veniva bene».
Giannichedda-Rossitto in mezzo al campo, coppia inedita...
«Zero palle gol create, ma quattro polmoni grossi così. A fine anno ci dovevano dare le bombole dell’ossigeno. Ma per come era strutturata quella squadra, con il tridente d’attacco Poggi-Bierhoff-Amoroso, era meglio così».
Giannichedda, diciamolo: quello era un gruppo fatto da gente di spessore.
«Era un gruppo vero, di amici, andavamo spesso a cena assieme. Ancora oggi quando ci vediamo stiamo bene assieme. Niente nasce per caso: noi non vedevamo l’ora di andare all’allenamento perchè ci divertivamo».
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