Il Mondiale di Pozzo ma anche il trionfo voluto da Mussolini

Gli azzurri portano a casa il titolo cercato con forza dal regime per accrescere il prestigio della Patria
Di Alessandro Bernini

Resterà nella storia come il Mondiale di Angelo Schiavio e del suo gol in finale nei supplementari, magari come il mondiale di Vittorio Pozzo e delle sue scelte coraggiose, sicuramente come il primo Mondiale vinto dall’Italia.

Ma la data 1934 e il contesto storico non possono togliere a questa edizione l’etichetta del Mondiale di Benito Mussolini: un’edizione voluta e ottenuta a tutti i costi dal regime perché «le prodezze sportive – sosteneva il duce – accrescono il prestigio della nazione e abituano gli uomini alla lotta in campo aperto». Propaganda e nazionalismo per aggregare le masse sotto la stessa bandiera, era questo il principio intorno al quale ruotava tutto il resto.

Il Mondiale inizia il 27 maggio, sedici le nazionali in campo: Argentina, Austria, Belgio, Brasile, Cecoslovacchia, Egitto, Francia, Germania, Olanda, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria, Usa e naturalmente Italia. Assenza illustre è quella dell’Inghilterra: i britannici si ritengono i maestri del football e snobbano questa manifestazione.

Sulla panchina azzurra c’è Vittorio Pozzo, giornalista, che per allenare l’Italia si accontenta del rimborso spese. Parla nove lingue, chiede rigore tattico (il famoso schema denominato “metodo”) ma il suo calcio si fonda soprattutto su valori morali e sono questi che cerca di infondere nel ritiro pre-mondiale tra i monti dell’Eremo dell’Alpino e le colline toscane.

Pozzo fa scelte anche sorprendenti. Ad esempio lascia a casa Fulvio Bernardini al quale confida: «Vede Bernardini, lei gioca in modo superiore. Gli altri non possono arrivare alla concezione che ha lei del gioco. Sacrificare lei o sacrificare tutti gli altri? Lei come si regolerebbe al mio posto?».

La squadra è un buon mix di carattere e classe. C’è Angelo Schiavo, classico attaccante di sfondamento, tiro potente, grande cuore, simbolo del Bologna che tremare il mondo fa; c’è Giuseppe Meazza, gran talento, invenzioni, eleganza allo stato puro; c’è il vecchio guerriero Attilio Ferraris (all’epoca nei casi di omonimia si diceva Ferraris IV); c’è la classe di Raimundo Orsi ed Enrique Guaita e il pragmatismo di Luis Monti.

Il debutto dell’Italia è travolgente, quello che ci vuole visto che la formula prevede l’eliminazione diretta: 7-1 agli Usa. Nei quarti è battaglia, l’Italia pareggia 1-1 con la Spagna, non senza qualche recriminazione da parte spagnola. E dunque bisogna rigiocare la sfida il giorno dopo: finisce 1-0, decide Meazza con un imperioso colpo di testa.

E siamo alle semifinali. Cecoslovacchia-Germania finisce 3-1, l’Italia invece deve vedersela con l’Austria a Milano.

Si gioca 48 ore dopo la battaglia dei quarti e con nelle gambe il viaggio in treno. L’Italia soffre ma vince, decide Guaita al 21’ che infila la rete dopo uno scontro tra Meazza e il portiere austriaco Platzer.

Domenica 10 giugno a Roma va in scena la finale con la Cecoslovacchia, di fronte a 50mila spettatori e alla presenza del duce.

Al 70’ Antonin Puc batte Gianpiero Combi, lo stadio ammutolisce. Sembra la fine ma l’Italia reagisce e pareggia con Orsi all’80’. Si va al supplementare.

«Ricordo – dirà anni dopo Angelo Schiavio, autore del gol decisivo – che Guaita mi allungò la palla in avanti, io feci qualche passo, palla al piede, entrai in area e sferrai un gran destro in diagonale».

È il 2-1, l’Italia vince il suo primo titolo mondiale.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto