Il grazie del Pordenone a Vendrame: "Ci trascinò in C2 e il Bottecchia si infiammò"

Memorabile il suo breve periodo trascorso in campo con la maglia neroverde
La formazione del Pordenone stagione 1977/1978
La formazione del Pordenone stagione 1977/1978

PORDENONE. Il Pordenone calcio navigava da 13 anni in serie D quando Ezio Vendrame, era il 1977-’78, fece ritorno nella sua terra per concludere una controversa carriera da professionista. I neroverdi, come racconta il neonato club Pn Neroverde 2020 nella sua pagina facebook, se la sarebbero dovuta vedere con il Montebelluna di un giovane Aldo Serena.

Lui aveva deciso di smettere col calcio giocato, ma rimase per un po’ nel limbo: gli offrirono contratti da Los Angeles (dove avrebbe giocato col mito George Best) e dal Kuwait. Avrebbe guadagnato un sacco di soldi, ma rifiutò.

Decise di tornare a Casarsa, chiedendo al Pordenone il permesso di allenarsi con la prima squadra, non essendo ancora pronto a recidere i legami con il calcio. Al primo allenamento, l’allora allenatore Adriano Buffoni rimase talmente colpito dal suo talento da pretendere che la società lo mettesse sotto contratto. Ma lui, a due giorni dal debutto, prese un treno per Roma e sparì. Al suo rientro, mesi dopo, Buffoni lo “braccò” sino a persuaderlo a giocare coi ramarri nel girone di ritorno.

Lo narra Vendrame stesso nella sua biografia “Se mi mandi in tribuna godo”. Da allora il Pordenone vinse tutte le partite, arrivando alla sfida col Montebelluna al Bottecchia che valse il salto in C2. Vendrame ci mise lo zampino: lancio millimetrico di 30 metri per Del Frate che di testa insaccò, scatenando il delirio dei più di 3 mila spettatori presenti.

Ezio descrisse la situazione come solo lui avrebbe potuto fare: «Il Bottecchia in erezione!». Nella foto a lato si riconoscono tra gli altri il presidente di allora Ugo Caon, il portiere Da Pieve, gloria neroverde e attuale tecnico del Sedegliano, capitan Mantellato, il terzino Canzi, finito poi all’Avellino in A, Catto, Dreolini, Flora

Vendrame giocò infine due anni tra i dilettanti del Casarsa, dopo il ritiro accettò l’invito del neopresidente neroverde Maurizio Zamparini di allenare le giovanili, perché «soltanto i giovani potevano tenermi legato a quello che resta di questo scoppiato mondo del calcio, perché, a differenza dei grandi, se tu non li freghi, loro non fregano te».

Odiava i genitori che mettevano pressione ai propri figli, auspicava sempre di guidare “una squadra di orfani”, voleva che dessero sfogo alle proprie capacità nel rispetto dall’arbitro e dell’avversario «anche se questi era stupido». Vietava di farsi chiamare “mister” e insegnava il calcio come un gioco, perciò sosteneva che «chi mi ha beccato come allenatore ha avuto un culo della madonna».

«Ho perso un grande amico, sincero, di cuore, e con un talento spaventoso. Lui allenava i giovanissimi, io gli allievi – ricorda Michele De Rosa, da sempre tecnico in vari vivai della regione, oggi osservatore dei giovani per l’Udinese –, indimenticabili gli anni trascorsi a lavorare con lui. Poi Zamparini lo portò con sé al Venezia. Assieme fondammo anche la scuola calcio dell’Aurora, a Pordenone. Ricordo che d’estate giocavamo dei tornei sulla spiaggia a Bibione: arrivavano migliaia di persone a vedere i suoi “numeri”.

Aveva superato i 50 anni, ma aveva un fisico perfetto. Vincevamo sempre, una volta stranamente perdemmo la finale contro una formazione tedesca e lui per scusarsi con noi portò una mega-torta in pizzeria. Ai ragazzi insegnava la correttezza, il rispetto. E una tecnica senza eguali. Da lui ho imparato tantissimo, ho cambiato il mio modo di approcciare i ragazzi. Ci mancherà».

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