Giacomini non ha cancellato l’amaro spareggio col Parma

Il compleanno dell'Udinese. L'ex calciatore e allenatore ricorda: «Provo ancora dispiacere pensando a quella sconfitta nella sfida per salire in B. Eravamo stanchissimi: io, Zanier e Pighin andammo in campo acciaccati»

UDINE. «Provo ancora dispiacere ripensando a quello spareggio di Vicenza perso col Parma che ci lasciò in serie C, nel 1973. Fu una partita in cui Gigi Comuzzi riuscì a stento a metterne in campo undici, col sottoscritto acciaccato assieme al portiere Zanier e Pighin. Avremmo potuto anche pareggiare ma ci mancarono le forze, eravamo stanchi dopo la lunga rincorsa fatta nel girone di ritorno».

Parte dal ricordo della sua ultima partita disputata con la maglia dell’Udinese la narrazione di Massimo Giacomini, che della storia bianconera è stato protagonista, con le sette stagioni disputate da calciatore e le quattro da allenatore, e anche grande conoscitore avendo sempre seguito le Zebrette fin dagli anni cinquanta.

Giacomini, ieri come oggi, i grandi cicli dell’Udinese erano spesso legati ai grandi attaccanti e negli anni Cinquanta un cambiamento importante fu segnato dall’arrivo di Lorenzo Bettini in sostituzione di Virgili. Si può dire che il Bettini di allora valse come il Di Natale che ha fatto la storia recente?

«Sì per la valenza, in quanto segnava molto ed era essenziale per noi, ma non per caratteristiche. Bettini era sì un attaccante di qualità con un grande fiuto per il gol, calciava con i due piedi, era rapido, giocava bene spalle alla porta e aveva il baricentro basso, ma era meno abile nel fraseggio».

Il ricordo di quella storica Udinese di Bigogno del 1955?

«È legato al raffinato Magli che si alternava in regia con Menegotti, sono le parate di Romani, dei Pentrelli e Dell’Innocenti, dell’udinese Snidaro e di Pinardi, di “Raggio di luna” Selmosson e di “Speedy Gonzales” La Forgia, un giocatore velocissimo che faceva cento volte la fascia e segnava con tiri fulminanti».

Poi però, dopo avere sfiorato il titolo, arrivò la retrocessione a tavolino per illecito e l’immediato ritorno in A nel 1956, grazie anche a 17 vittorie consecutive in casa.

«Era l’Udinese del norvegese Bredesen e di Secchi, che segnò molti gol. Poi arrivò lo svedese Lindskog a sostituire Bredesen. Lindskog faceva lanci di 40 metri con un gran piede destro, era generoso e diede qualità alla squadra».

Il 13 ottobre del 1957 è la data che la lega all’esordio in maglia bianconera.

«Lindskog e Bettini avevano la febbre, così io e Tonini li sostituimmo contro il Milan di Schiaffino, Cesare Maldini, Liedholm, Grillo. Finì 1-1 con gol di Tonini che poi se ne mangiò un altro».

Nel 1961 la salvezza arrivò solo agli spareggi di Bologna.

«Pareggiammo col Bari (0-0 ndr) dell’ex Virgili e col Lecco (3-3 ndr), ma poi cominciarono gli anni bui, la dirigenza doveva fare i conti in tasca e venivano lanciati molti giovani, penso a Burnich e Zoff, ma senza che avessero l’aiuto dei vecchi vicino. Nel 1964 la Primavera di Comuzzi vinse il titolo nazionale e su quel gruppo nacque la bella Udinese dei vari Bosdaves Braida e Dolso, ma sempre in C. Erano gli anni del presidente Bruseschi, un uomo dalla personalità molto forte e al di sopra di ogni sospetto».

Lei ha avuto anche Bruno Petrello come presidente, il successore di Bruseschi.

«Sì, e dico che se c’era qualcuno che meritava di ottenere la promozione in quel famoso spareggio di Vicenza, questo era Petrello, persona di una correttezza straordinaria».

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