Fucka, ha scritto la storia dell’Italia dei canestri: «Eppure tutto partì da un... mal di schiena»

Partiamo dal mal di schiena più provvidenziale della storia del basket italiano. È il 1989, siamo in Jugoslavia, a Lubiana, la federazione di Belgrado dirama le convocazioni per lo storico torneo giovanile di Mannheim in Germania. C’è anche un lungagnone che di nome fa Gregor Fucka.
Ieri Gregor ha compiuto 48 anni (auguri), stasera sfilerà con l’Italia under 16 di cui è coach per le vie del centro di Udine nella presentazione dei team, che da domani si daranno battaglia tra il Carnera e Pasian di Prato, ai Campionati Europei di basket. In mezzo, trent’anni di successi, solo un paio di rimpianti, un pezzo di storia del basket azzurro.
Zainetto, t-shirt e maglietta dell’Italbasket, Fucka ci accoglie all’hotel Ramandolo di Udine strabuzzando gli occhi: «Vuoi parlare con me? E perché?». Il suo vice, che è più d’un vice, è un amico da trent’anni ed è uno di quelli che l’ha scoperto, Alessandro Guidi (da martedì Palma di Bronzo del Coni), se la ride. Fucka ha vinto, tra l’altro, due scudetti (Milano, 1996, Fortitudo 2000), ha segnato più di 6 mila punti in serie A, ha vinto l’Eurolega col Barcellona nel 2003, l’Eurocup col Girona nel 2007. Per l’Italbasket è soprattutto l’Mvp all’Europeo dorato del 1999. Eppure lui minimizza. «Parliamo dei nostri under 16 sono vanno loro in campo adesso».
Giusto, ma Gregor com’era a 15 anni?
«Alto già più di due metri, quasi già a 2.15, con la gobba e tanta passione per la pallacanestro».
Idoli?
«Drazen Petrovic su tutti e poi Tony Kukoc per il ruolo».
Sogni?
«Fare il giocatore di basket, lavoravo forte in palestra, ma tranquilli anche adesso i ragazzi lo fanno, mi hanno anche convocato in Nazionale».
Fino a quel mal di schiena...
«Che mi ha cambiato la vita. Niente torneo a Mannheim, niente esordio con la Yugoslavia. Poi cominciano a venirmi a vedere dalla Stefanel Trieste, arriva anche lui (indica Guidi che se la ride...ndr), poi Boscia».
Tanjevic. Ce lo descriva in sintesi.
«Un maestro, un secondo papà, quante “cazziate” ho preso. Ma ha creduto in me. Mio papà è nato a Trieste, c’era la possibilità di venire a giocare in Italia e per l’Italia perché io, per quel benedetto mal di schiena che poi mi ha accompagnato per tutta la carriera, con la Yugoslavia non avevo mai esordito. E sono arrivato a Trieste».
Impatto?
«Duro, era l’anno della serie A2, mi allenavo con le giovanili e con la prima squadra ma non ero ancora italiano e non potevo giocare le partite. Ma sono arrivato in una famiglia e in una città meravigliosa».
Compagni da ricordare in quegli anni?
«Sandro De Pol, un fratello, e Terry Tyler, uno che arrivava dall’Nba e che ci ha indicato la strada».
E poi arrivò Bodiroga...
«Un Ufo, con lui ho vinto anche a Barcellona».
Fucka, i giovani giocavano. Ora...
«È tutto diverso. La A1 è piena di stranieri, ma se un giovane vale gioca. Certo, la serie A2 è più competitiva per un italiano perché ci sono due stranieri come ai miei tempi in A1. La chiave, però, è sempre la stessa: se c’è una società che crede nei giovani, “protegge” il coach anche quando perde per far fare esperienza ai ragazzi, e allora c’è un futuro».
Lo scudetto di Milano?
«Bello, ma avremmo voluto vincerlo a Trieste e per Trieste. Quando Stefanel lasciò la città per Milano piangemmo tutti».
È tornato il derby Fortitudo-Virtus come ai suoi tempi.
«Fantastico, quella è la città del basket».
Prima di andare al Barcellona non andò a giocare in Nba con gli Indiana Pacers: pentito?
«Un po’, e prima avevo rifiutato un quadriennale con i Clippers».
Torni al 1999, semifinale europea contro la Yugoslavia. Loro rimontano, lei ci porta in finale...
«Non esageri (è vero, ndr). Quello fu un gruppo granitico. La Yugoslavia l’avevamo già battuta, Danilovic, Bodiroga e gli altri ci temevano».
C’era tanto Friuli in quella squadra.
«Chiacig non lo abbattevi neanche con un carro armato, Galanda tosto friulano espansivo, Mian friulano tutto d’un pezzo».
Arrivano i Mondiali. L’Italia ha tanto talento, ma non vince...
«Gallinari è fortissimo, hanno talento. Non hanno lunghi, ma sono fiducioso»
Pozzecco allenatore le piace?
«Un sacco, avrebbe meritato lo scudetto a Sassari».
Chi le piace in Nba?
«Tim Duncan era il mio preferito. E guardate cosa sta facendo Luka Doncic...».
Ha 4 figli, Rebeka e Tatjana del 1999 giocano a volley in A2 a Sassuolo. Le segue?
«Quando posso sì, ma pochi consigli: basta che facciamo sport, qualsiasi tipo di sport, con serietà, passione e si divertano».
Fucka, com’è allenare i ragazzi Millennial?
«Straordinario. Hanno talento, lavorano duro. Se ci credono possono spaccare il mondo. È vero, ora ci sono i social, le distrazioni, ma se c’è la passione quella vince sempre. Ci seguono, hanno rispetto. Affronteremo avversari forti, il torneo è livellato. Starà a noi portare i tifosi di una città di basket come Udine al Carnera».
Gregor si alza, Guidi ammette: «A questi ragazzi manca la conoscenza della storia del basket, l’altro giorno ho scoperto che non sapevano chi è Carlton Myers, su questo dobbiamo lavorare». Massimo Turco, il fotografo, si avvicina a Fucka. Gli chiede: «Se vedi in capetto i ragazzi giocare a basket che fai?». «Che domande...prendo la palla e gioco con loro». Benedetto quel mal di schiena di 30 anni fa.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto