Fu tra gli artefici della grande Inter, poi quel gol nel ’70 alla Germania...

Il grande Tarcisio fu scartato dal Catania per far posto a un certo Pizzul. A Livorno diventò un idolo perché ne disse di tutti i colori contro il Pisa 

Sarti, Burgnich, Facchetti... quando le formazioni erano poesia lui c’era. La lirica di Tarcisio Burgnich era la Grande Inter di Helenio Herrera ma con Albertosi al posto di Sarti era anche quella della Nazionale del partido del siglo all’Azteca di Città del Messico: Italia-Germania 4-3, 17 giugno 1970, semifinale del Mondiale perso poi con il Brasile.

Burgnich oggi compie 80 anni e per chi lo ha visto e per chi non c’era non si può che cominciare da quel “pareggio di Burgnicccch” gridato nel microfono da un euforico Nando Martellini nella notte italiana in cui tutti erano svegli.

Burgnich, gli 80 anni di un grande friulano. E lui subito chiede: «La mia Udinese si salva?»

L’emozione del telecronista trasforma due volte la dizione corretta in Burgnik ma non ci fa caso nessuno. Tarcisio non segnava mai ed erano rarissime le incursioni al di là del campo. In azzurro ha fatto solo due gol, l’altro in un’amichevole con l’Austria nel ’66.

Quello messicano invece ci fa vincere la partita più bella di sempre. È vero che è “solo” il 2-2 ma è il momento più delicato. L’Italia segna all’8’ con Boninsegna e si fa raggiungere dopo un assedio tedesco allo scadere del 90’, con un altro gol di un difensore, il milanista Karl Heinz Schnellinger. E dopo appena quattro minuti del supplementare, Muller realizza il punto che sembra cambiare la sfida. Quel tiro del numero 2 fa capire invece che non è cosa.

Certo, Burgnich non è solo questo. Due anni prima era stato campione d’Europa a Roma e con i club ha vinto tanto. Friulano di Ruda, comincia nell’Udinese con Dino Zoff, uno di Mariano, dodici chilometri più in là. Due stagioni già da “Roccia”, l’autorevole soprannome datogli poi da Armando Picchi ai tempi dell’Inter e che gli resterà per sempre, quindi la Juventus e subito lo scudetto. Il primo provino con il Catania è di due anni prima, lo fa insieme con un calciatore della Pro Gorizia ma scelgono l’altro. L’altro è Bruno Pizzul, nella sua prima vita da calciatore.

Dopo lo scudetto, i bianconeri scaricano troppo frettolosamente Tarcisio e lo mandano a Palermo. Lui inizialmente rifiuta, poi gioca 31 partite alla grande e fa il primo gol in Serie A, proprio a Torino con la Juventus, in una partita vinta 4-2. L’anno dopo va all’Inter e di scudetti ne vincerà quattro insieme con due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali. Nel frattempo sposa Rosalba, la ragazza di Lucca conosciuta a Torino nel ristorante della famiglia di lei, divenendo anche un po’ toscano, perché poi andrà a vivere a Badia Pozzeveri, fra Altopascio e Montecarlo.

Tornando al calcio, anche l’Inter lo molla quando ha 35 anni. Va al Napoli e gioca tre stagioni d’incanto portando a casa anche una Coppa Italia. «Ho vinto tanto ma la volta più bella fu la prima finale con l’Inter, quando battemmo le nostre figurine». Era il Real Madrid del 1964: Puskas, Di Stefano, Gento..

Ha sempre sbagliato poco ma tutte le volte che si è trovato a soccombere contro un avversario diretto ha sempre avuto parole al miele. Due le immagini celebri in cui lo si vede sconfitto: il colpo di testa di Pelé nella finale del Mondiale del 1970 e un’incornata rasoterra di Ezio Pascutti, altro friulano di Mortegliano, in un Bologna-Inter.

«Molto più bravo Ezio. Contro Pelé ho saltato storto, stavo recuperando la posizione dopo un cambio di marcatura. Eh, sì, Pascutti me l’ha fatta. Io avevo capito che il cross sarebbe piovuto dalle nostre parti e siccome Ezio lo conosco bene, mi sono buttato in tuffo prima di lui, per anticiparlo. Ero scattato per primo, sono arrivato secondo. Un gol così poteva segnarlo solo un campione come Ezio. In fondo, mi ha fatto perfino piacere che gli sia riuscita una prodezza del genere».

Nell’ultima frase c’è tutta l’essenza dell’uomo ancor prima del grande calciatore che è stato ottimo anche come allenatore. Ha cominciato a Livorno, diventando subito un idolo della tifoseria per via di un’intervista in cui ne diceva di tutti i colori contro il Pisa che gli fruttò sei mesi di squalifica. Dopo c’è stato il Catanzaro dell’ottavo posto in Serie A, poi Bologna, Como, Genoa, Vicenza, Salernitana, Foggia, Genoa, Lucchese, Ternana.

A Pescara l’ultima sfortunata esperienza chiusa con un esonero per far posto a un friulano adottivo, Giovanni Galeone. «Da allenatore mi chiamavano squadre costruite un po’ alla carlona. Ragionamento dei presidenti: se andiamo in B è colpa di Burgnich. Era più colpa loro, ma non importa. Se mi giro indietro, sono felice».

Ecco, basterebbe quest’ultima frase: c’è proprio tutto.




 

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