Felice Gimondi raccontato dalla figlia: «Voleva bene al Friuli»
Norma sarà venerdì a Mortegliano. «Mio padre amava la vostra terra di gente tenace come i bergamaschi»

«Mi diceva sempre che voi friulani avete la testa dura, siete grandi lavoratori, amate la loro terra proprio come noi bergamaschi. Mio papà voleva bene al Friuli anche perchè qui vinse il Giro del Friuli dilettanti, una delle sue prime grandi corse».
Parole (e musica) dell’avvocato Norma Gimondi, la figlia del grande Felice, uno dei campioni più amati del ciclismo italiano, che non c’è più da quasi cinque anni, e che, venerdì sera, a Mortegliano, sarà celebrato nell’ambito della serata di presentazione della tappa friulana del Giro d’Italia 2024.
Suo padre qui è stato sempre amato.
«Ed era un amore ricambiato, da voi vinse il Giro del Friuli dilettanti e le prime corse vinte non si scordano mai. Da voi doveva correre il Giro del Friuli 1976 quando le scosse di terremoto di settembre costrinsero tutti quelli della carovana a gettarsi giù dalle scale terrorizzati dall’albergo di Pordenone dove alloggiavano».
Glielo raccontò suo padre?
«Certo. Disse che il mitico meccanico Piero Piazzalunga, “Pinza d’oro”, si fece le scale ribaltandosi terrorizzato dal terremoto».
E poi ci fu quella tappa di Gemona tra le macerie al Giro 1977.
«Raccontava spesso di quando arrivarono tra le macerie e si rifocillarono prima della partenza della semitappa tra le case distrutte. Tragedie come quella del Friuli lo impressionavano perchè minavano le basi di una famiglia, gli affetti e la casa, che per mio papà erano cose sacre.
Quando gli capitava di pedalare in Friuli o in Campania dopo quelle immagini tragedie raccontava che respirava l’angoscia di quella gente, ma anche la voglia di ripartire. Molte volte anche grazie al ciclismo come quel giorno a Gemona».
Che papà era Gimondi?
«Semplicemente un papà che si fa fatica a dimenticare. Sono nata nel 1970 e mi sono vista, seppur da bambina, gli anni più belli della carriera di mio papà, anche se mi sarebbe piaciuto vederlo vincere il Tour del 1965. Ricordo che d’estate dopo la Grande Boucle con la mamma partivamo tutti e tre ai circuiti.
Era un papà assente perchè dai ritiri in Liguria fino al Trofeo Baracchi che si correva a Bergamo in autunno era spesso fuori casa, ma quando c’era era un papà presente, anche se severo con me e mia sorella».
Le ha insegnato ad andare in bici?
«Certo, non so dirle quando perchè ero piccolissima. Avevo una bici, naturalmente una piccolissima Bianchi, pensi che avevo sempre le caviglie che perdevano sangue perchè le strusciavo sulle pedivelle imitando i corridori».
Veniva a prenderla a scuola?
«Certo, e quando arrivava era una festa. Code per chiedere autografi. Pensi che io ero in prima elementare e lui vinse il Giro del 1976.
Portavo cartoline e adesivi della Salvarani a tutti. Due miei compagni di classe cominciarono anche ad andare in bici per imitarlo».
Pedalavate insieme?
«All’Università gli dissi che avrei comprato una bici da corsa, lui non era molto d’accordo diceva che le strade erano pericolose. Poi faticavo a stargli a ruota.
Avete presente riuscire a tenere la ruota di Gimondi? Lui si arrabbiava. Ma col tempo sono riuscito anche a staccarlo in salita e quando avevo Gimondi a ruota mi faceva un certo effetto».
Beh, era suo padre...
«Sì, ma era Gimondi».
E di Merckx cosa le diceva?
«Beh, pensi che io da piccolina giravo per casa con una maglietta di Merckx perchè era quello che vinceva sempre e papà si arrabbiava«.
L’ha fatto anche perdere il Cannibale suo padre...
«Non solo, con Eddy, che dopo la morte di mio padre venne a casa a trovarci, papà aveva fatto una scommessa: vuoi vedere che io riesco a vincere una grande corsa a tappe dopo di te? Ci riuscì nel 1976».
Qual è per lei la vittoria più bella di suo padre?
«Quando vedo le foto del Tour vinto nel 1965 mi commuovo a vedere quel volto da ragazzino che vince alla prima partecipazione.
Mi ricorda Pogacar che vinse il Tour al primo assalto. Gli sarebbero piaciuti a mio padre questi fenomeni come lo sloveno, Van Aert o Van der Poel».
Ai Campi Elisi suo padre premiò anche Pantani...
«Marco fu l’ultimo corridore per cui mio padre tifò. Quando capii che non era possibile più aiutarlo si dimise da presidente della Mercatone.
Diceva: quello è un corridore. E quando diceva così papà vuole dire che di fronte aveva un campione». E se lo diceva Gimondi.
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