Da Pomigliano D’Arco ai numeri da record

Scoperto dal Castello di Cisterna come Montella, Caccia, Lodi e adesso Piscitella. Di Natale andò a Empoli a 14 anni dicendo: tranquilla mamma, faccio 3 gol e torno

UDINE. Venerdì sera l’Udinese sbarcherà a Napoli, a casa Di Natale. Nella terra che ha visto nascere – anche calcisticamente – il giocatore bianconero più rappresentativo dell’ultimo decennio e, forse, della storia ultracentenaria della società. Si va a Napoli, là dove per Totò tutto e cominciato e dove, per espressa volontà del capitano, non tutto finirà.

Fucina di campioni. Totò è un figlio del meridione d’Italia e, più precisamente, di Pomigliano d’Arco, uno di quei comuni alle porte del capoluogo campano nati in seguito alla famosa “legge 219” del 1981 che inglobò i sussidi statali post terremoto del 1980 in Campania e in Basilicata al cosiddetto “Piano Napoli” per la costruzione di oltre 20 mila abitazioni – e 100 mila vani – in tutta la zona. Di Natale gioca, come tutti i ragazzi del paese, per strada ed è lì che lo adocchia Lorenzo D’Amato che lo porta a Castel di Cisterna, all’Unione Sportiva San Nicola.

D’Amato è uno che ha fiuto per i campioni e il San Nicola è una delle fucine di talenti più prestigiose del paese. Da quelle parti, prima di Totò, è transitata gente come Vincenzo Montella e Nicola Caccia – 180 gol in due in serie A – e dopo di lui Francesco Lodi e l’attaccante del Pescara Giammario Piscitella. Il mondo esterno, a Castello di Cisterna, è duro: è una terra di emarginazione, fatta di case popolari e persone in cerca di sbarcare il lunario, ma dentro quel portone rosso che Totò ricorda a ogni intervista e che delimita il centro sportivo San Nicola è tutta un’altra vita e se vali, emergi.

E Di Natale è uno che vale, eccome se vale, e nel 1990 Fabrizio Lucchesi, storico osservatore dell’Empoli prima e della Roma poi, lo vede e se lo porta in Toscana. Sulla stessa tratta che, qualche stagione prima, avevano compiuto proprio Montella e Caccia.

Terra mia. La nostalgia di casa, per un ragazzo di 14 anni catapultato in un mondo estraneo al suo, però si fa sentire. A Di Natale manca la mamma, come a ogni adolescente, per combattere il magone ascolta Pino Daniele, sente e risente “Terra Mia”, ma alla fine non ce la fa più: scappa da Empoli e torna a Napoli. Il club toscano, all’epoca, affidava i giocatori che venivano da fuori in case di famiglie empolesi e per non perdere uno come Totò, e rassicurarlo, decide di sistemarlo nella stessa abitazione in cui viveva Montella.

L’attuale allenatore della Fiorentina si prende cura Di Natale, lo aiuta, lo incoraggia e gli spiega che l’occasione per sfondare è di quelle ghiotte. Totò svolta, cresce, si fa le ossa in prestito – Iperzola, Varese, Viareggio – fino alla serie B e alla A con l’Empoli e l’Udinese dove traccia il solco di un’era. Un’era che affonda le radici sotto il sole della Toscana e sui campi, duri, di Pomigliano d’Arco. Dove il giorno del provino Totò disse a Lucchesi: «Faccio tre gol e me ne torno a casa».

E fu proprio così. Segnò una tripletta, si tolse la maglia e se ne andò da mamma. In quella stessa via dove, a pochi metri le une dalle altre, vivevano le famiglie Di Natale, Montella e Caccia. Fossimo in Pozzo, una capatina, da quelle parti, la faremmo anche adesso a vedere se, per caso, a Pomigliano d’Arco non cammina per strada il futuro capitano dell’Udinese.

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