Ciclismo, la svolta richiesta da Argentin: «Mancano giovani, squadre, dirigenti: così siamo da serie B»

Poi dal campione l’affondo alla Federazione: «Cambiare vertici»
Antonio Frigo
Moreno Argentin, 63 anni, faro del ciclismo italiano negli anni ’80
Moreno Argentin, 63 anni, faro del ciclismo italiano negli anni ’80

«Il ciclismo sta vivendo il suo momento più difficile. Se alle prossime elezioni la Federazione non si svolta, c’è il serio pericolo che l’Italia ciclistica perda il passo spedito del movimento internazionale». Parola di Moreno Argentin campione del mondo e vincitore di tante classiche.


Il pesce puzza davvero dalla testa?
«A parlar schietto ci si fanno nemici. Ma nel ciclismo non si gioca per il pareggio».


Come in quel finale della Liegi in cui beffò Roche e Criquelion?
«Già. E allora la risposta è una sola: il ciclismo italiano, ma non solo, sta male e, anche imboccando la strada giusta, è senza speranza di miglioramento per 10 anni, se non ci rimetta le penne prima. Non ci sono più giovani e vivai. Non abbiamo squadre World Tour: l’Italia non è nella serie A del ciclismo mondiale. Da 15 anni non si vince un mondiale. Si fatica pure a mettere insieme qualche squadra Professional. Il velodromo coperto di Treviso sventolato da trent’anni tra battutacce falsi miti. Intanto il movimento si sta disgregando, al punto che società storiche come San Vendemiano rinunciano a fare squadre giovanili, Esordienti e Allievi. Se pensa poi che 60 milioni di italiani sono rappresentati da qualche ragazzo di buona volontà, mentre due milioni di sloveni vantano tre delle prima firme del ciclismo mondiale, ossia Roglic, Pogacar e Mohoric, si capisce che dopo Nibali abbiamo preso sonno».


Per colpa di chi?
«Della politica e dei singoli personaggi cui è stato delegato il destino del nostro sport. Chi è al potere non ha in mente il futuro e la dignità dello sport del pedale, punta a eternare il proprio potere e stop. Chi comanda non pensa al futuro del movimento. Ci sono consiglieri federali di altre regioni eletti con voti delle società venete. Per fare gli interessi di chi? Ma forse, alla luce dei 106 mila euro che qualcuno aveva chiesto al consiglio federale per cercare sponsor, attraverso società straniere o figuri vari, tutto si capisce o quasi».


Il presidente Fci Dagnoni non pare godere del suo ...sperticato gradimento. Ne ha parlato anche in una conferenza stampa in cui ha spiegato che con un pretesto avevano bloccato la sua creatura l’Adriatica Ionica Race, per non aveva pagato la motostaffetta dell’edizione precedente.
«Quando me l’hanno uccisa io avevo già saldato ogni pregresso. La cifra era irrisoria in confronto a quei 106 mila euro, ma che ci vuole fare: l’importante era fermare chi, organizzando gare non benedette da chi conta, non si piegava al gruppo che campa sul ciclismo. I motivi dello stop alla nostra organizzazione sono altri: non deve aver giocato a favore la mia posizione critica prima delle elezioni del 2021. Il presidente Dagnoni? Lui è una rotellina, a portar difetto è il sistema elettorale, disegnato, da chi lo ha preceduto alla presidenza, per privilegiare chi vuol salvare il proprio ruolo di potere. I voti validi, infatti, sono solo quelli di chi è già tesserato e così può dire di fare gli interessi del ciclismo, Gli altri, i nuovi con capacità e disegno complessivo, restano fuori della porta. A trattare con i marpioni della politica sono persone che addirittura non hanno, a volte, la capacità di esprimersi in corretto italiano» .


Le cose non hanno mai rischiato di cambiare?
«A un certo momento, mentre cresceva l’attenzione per lo sport al femminile, si è profilata la necessità che qualcuno prendesse in mano il Giro Donne. Si era fatto avanti Pippo Pozzato, tornato al ciclismo come imprenditore. Poteva essere una svolta, ma Dagnoni voleva subentrare all’organizzatore uscente. Ma si è presto dichiarato sazio e, presasi la corsa, ha mollato l’osso, altro che crociata per il rinnovamento. Ormai si sbatte la porta in faccia a chiunque minacci di essere alternativo» .


La politica che colpe ha?
«Le ha, le ha. La politica disegna il futuro della società a tutti i livelli e lo sport è uno strumento importante. La nuova legge sullo sport ha vanificato il suo compito. La politica dovrebbe mettere a disposizione le strutture e gli insegnanti, così creerebbe anche economia e posti di lavoro. Possibile che chi gestisce i fondi Pnrr non si ricordi che una nazione sana, fisicamente e psicologicamente, si fa con una corretta e propulsiva azione della scuola? E non parlo di due orette di ginnastica a settimana. La scuola è stata invocata, sul caso Giulia Cecchettin, per insegnare a vivere in modo corretto, con attenzione per la cosiddetta “cultura green”, ma anche per una strutturazione del carattere dei ragazzi. Vedo impianti di padel costruiti con fondi pubblici. Ma il padel è per adulti già formati o definitivamente, addirittura, già “storti” senza rimedio. E i giovani? Portarli al ciclismo non è facile, perchè, a differenza di altri sport, non esistono impianti fissi, non esistono percorsi protetti in cui non rischiano la vita per colpa del traffico.

Costa farli? Balle. E i 35 milioni stanziati per il velodromo coperto in provincia di Treviso a che servono allora? È chiaro che i velodromi coperti sono impianti nati morti, in perdita costante. Servono solo per allenare gli azzurri della specialità. Ma non possono “pagarsi” in termini di gestione e di manutenzione. La prova? Ne hanno chiusi 5 in pochi anni. Una danza macabra, ora, si tiene attorno all’impianto di Treviso, “costruendo“ da 25 anni e che, al tempo, doveva nascere a San Vendemiano. Poi, per ragioni partitiche, è arrivato a Lovadina, ma non va avanti, fa paura trovarselo per le mani. Quanti piccoli percorsi protetti e quanti corsi si potevano finanziare in tutta Italia con quei soldi? La Federazione sapeva bene che gli impianti non si possono mantenere da sè, ma si è fatta mettere i piedi in testa dai politici che volevano la cattedrale a casa propria. D’altra parte parte, senza cambio di destinazione d’uso, sarebbero rimaste solo le rogne. Con quei soldi, vincolati al solo settore pista, si poteva portare il ciclismo nelle scuole, salvandolo come hanno fatto altre nazioni, perfino la Polonia. Se lo fai adesso, è già troppo tardi».


Anche i dirigenti sono eterodiretti? È questa è la malattia del ciclismo?
«Ma va. Ci fosse un disegno, lo saprei. Ma vedo solo gente, spesso non avente titolo, con le forchette impugnate, attorno a una tavola che non si sa per chi è stata apparecchiata, ma e si sta sgretolando. A chi va bene così? A chi ama il ciclismo e sa quanto appartenga alla nostra cultura, certo no. Mettere la testa sotto la sabbia comporta un impegno minore e una rendita in termini di voti e di soldi. Poi non è difficile trovare chi tiene in piedi le parvenze, organizza mondiali che vengono tolti, con qualche scusa, a chi li ha inventati. Pippo Pozzato aveva inventato quello di gravel; anche lui è stato scippato. La delusione finisce sempre più con fughe dalla Federciclo, verso altri enti di promozione sportiva. E il ciclismo si sbriciola in piccoli disegni. Così piccoli da non disturbare i senatori. Ma solo in Italia. La Francia con Aso (che gestisce il Tour e molto altro, influendo sui calendari internazionali ndr) si dà da fare, ci crede e , benedetta dal presidente Macron,salva se stessa e si propone polo europeo. Vediamo se si impossesserà anche delle nostre realtà sane, come il Giro, la Sanremo, la Tirreno, il Lombardia. Tanto io sono solo un rompi...».

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