C’era anche Corona: col dolore nell’anima ma dovevo venire

L’artista simbolo di Erto emozionato sul luogo del disastro «Avrei voluto che non ci fossero vincitori in questa tappa»
20070811 - ERTO-CASSO (PORDENONE) - LIF - TURISMO: DA OGGI VISITE GUIDATE SU CORONAMENTO DIGA VAJONT - Nella foto Mauro Corona, abitante di Erto (Pordenone), che ha fatto da 'cicerone' al percorso inaugurato oggi che attraversa la diga del Vajont. Da oggi infatti i turisti che visiteranno la diga del Vajont, dove, il 9 ottobre 1963, avvenne la tragedia che causo' quasi 2.000 morti, potranno percorrere per intero il coronamento dello sbarramento artificiale, osservando sia la forra del torrente sia, sul lato opposto, la valle del Piave. L'iniziativa fa seguito alla convenzione sottoscritta alcuni giorni fa tra Enel, Parco naturale delle Dolomiti Friulane e Fondazione Vajont. ALBERTO LANCIA / ANSA / KUM
20070811 - ERTO-CASSO (PORDENONE) - LIF - TURISMO: DA OGGI VISITE GUIDATE SU CORONAMENTO DIGA VAJONT - Nella foto Mauro Corona, abitante di Erto (Pordenone), che ha fatto da 'cicerone' al percorso inaugurato oggi che attraversa la diga del Vajont. Da oggi infatti i turisti che visiteranno la diga del Vajont, dove, il 9 ottobre 1963, avvenne la tragedia che causo' quasi 2.000 morti, potranno percorrere per intero il coronamento dello sbarramento artificiale, osservando sia la forra del torrente sia, sul lato opposto, la valle del Piave. L'iniziativa fa seguito alla convenzione sottoscritta alcuni giorni fa tra Enel, Parco naturale delle Dolomiti Friulane e Fondazione Vajont. ALBERTO LANCIA / ANSA / KUM

ERTO E CASSO. «Mi sarebbe piaciuto un arrivo tutti assieme, con i corridori che si tengono per mano in fila per dieci». L’artista del legno Mauro Corona, simbolo vivente di Erto, ci mette un po’ di poesia nel descrivere la sua emozionante partecipazione al Giro d’Italia. Alpinista, scrittore e scultore di fama nazionale, avrebbe sognato un omaggio alle vittime del Vajont che rimanesse nella storia. «Per una volta si poteva rinunciare alla vittoria in ricordo delle quasi 2 mila vittime del disastro. È chiaro che uno sport come il ciclismo si nutre di muscoli e di fatica e non di poesia, ma tanto di tappe ce ne sono ancora tante per darsi battaglia».

Anche Corona è un sopravvissuto della tragedia: quella maledetta sera di ottobre si trovava in via San Rocco «dove l’acqua era più vicina ma l’onda è saltata, altrimenti le vittime sarebbero raddoppiate». Mauro Corona non dimentica, anzi, si erge a sentinella della memoria, anche nel comprendere le ragioni di chi, all’inizio, ha storto il naso di fronte all’abbinamento fra la memoria dell’olocausto e il grande evento sportivo rappresentato dal Giro. «Hanno pure ragione quanti hanno reclamato visibilità per il Comune di Vajont – ha commentato Corona –. Basti pensare che Erto doveva rimanere presidio dell’Enel e che la popolazione è stata trasferita in varie località per smembrarne la forza. Anche i fratelli che hanno scelto la pianura meritavano un passaggio: il dolore non ha localizzazione ma rimane per sempre nell’anima. Da parte mia sono pure stufo i fare la prima donna ma lungi da me snobbare il Giro d’Italia. Sono un amante del ciclismo, esco spesso in mountain bike con la bicicletta che mi ha regalato il mio amico Giovanni Battaglin e non mi perdo una tappa del Giro e del Tour de France. Eppoi ho conosciuto personalmente Eddy Merckx». L’incontro è avvenuto a Longarone nel 1975. «In occasione di un arrivo di tappa del Giro provai ad avvicinarmi al palco – ricostruisce Corona –. Spintonato via, mi rifugiai nell’alcol a un tavolino del bar Alpino. Ebbene: Merckx, per evitare la folla, cercò rifugio proprio al mio tavolino»©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto