Causio: "Zico era e rimane il campione della gente"

L'ex attaccante rivive più di 40 anni “in parallelo” col brasiliano che sta per tornare in Friuli

UDINE. «Era e rimane il campione della gente». Franco Causio è più di un ex compagno di squadra di Zico. È la persona giusta per mettere la cornice al ritorno del Galinho in Friuli, visto che può rivivere con le parole più di 40 anni “in parallelo” con il campione brasiliano, lui che nell’immaginario collettivo del calcio italiano – stimolato dalle iperbole giornalistiche del tempo – era Brazil, l’azzurro che meritava di vestire la maglia della Seleçao, per il tocco nobile al pallone. Così per molti è ancora il Barone.

Causio, ma si ricorda il primo incrocio con Zico?

«Da avversario? In Brasile, durante una tournée con la Juventus chiamata a celebrare l’inaugurazione di uno stabilimento della Fiat a Belo Horizonte, ben prima dei Mondiali del ’78. Giocammo la prima amichevile con il Palmeiras ancora intontiti dal fuso orario. Ci fecero vedere il pallone all’inizio e alla fine. Poi qualche giorno dopo andò decisamente meglio con il Flamengo. Era il Flamengo di Zico per il quale prima di venire a Udine segnò oltre trecento gol».

Ha citato i Mondiali del ’78, quelli della prima Italia di Bearzot e di un Barone grande protagonista...

«Zico invece era il talento emergente del Brasile. Ricordo di aver visto la gara della Seleçao con la Spagna a Mar del Plata, mentre noi stavamo vincendo il girone di qualificazione con Francia, Ungheria e Argentina. Un anno dopo l’ho avuto al mio fianco, nella rappresentativa del Resto del Mondo invitata a festeggiare l’anniversario del titolo dell’Albiceleste a Buenos Aires».

Come è stata quella prima partita col Galinho?

«Incredibile. Il ct era Enzo Bearzot, l’Argentina schierava il nuovo gioiello Maradona e Tardelli, per fermarlo, già nel primo tempo si fece cacciare. Era un’amichevole per modo di dire, il generale Videla voleva un altro trofeo da regalare al suo regime.

Diego fece il primo gol, Zico entrò solo nella ripresa, visto che come il terzino destro Toninho era reduce da un impegno proprio col Flamengo. Bearzot lo schierò al posto di Platini per una squadra che aveva già Causio, Rossi e Boniek in campo. Finì con due gol nostri: pareggio di Pablito su passaggio di Zico e raddoppio del Galinho. Per la rabbia non ci consegnarono neppure il trofeo in campo».

Quattro anni dopo se lo ritrovò in squadra a Udine: si è mai chiesto perché accettò la sfida bianconera?

«Perché ci credeva. Perché aveva avuto delle rassicurazioni sulla qualità della squadra. E perché è uno che ama le sfide, mettersi in gioco. Non molla mai. L’avete visto all’ultimo Jogo das Estrelas, la partita delle stelle che per beneficienza organizza al Maracanà ogni dicembre? Ha voluto giocare 90 minuti a più di 60 anni. Gli ho detto: Galinho sei sempre lo stesso».

E la gente in Brasile, come in Friuli, continua ad amarlo: è un’icona del calcio...

«A Rio ha giocato per il Flamengo che la squadra della gente umile. Gente che non dimentica le gioie che lui ha regalato ai tifosi. Nel 1981 Zico fu protagonista nella Libertadores e nella Coppa Intercontinentale vinta dal Rubro-Negro. Quando Franco Dal Cin andò in Brasile con Lamberto Giuliadori per trattare la sua cessione dovette farlo in gran segreto, altrimenti sarebbe scoppiata una sommossa popolare».

Perchè era l’eroe calcistico brasiliano in quel momento.

«Tralasciando Maradona, che è una spanna sopra tutti, Zico viene solo dopo Pelé, come altri grandi del calcio mondiale, da Platini a Cruijff. Nomi che stanno sulle dita di una mano».

Causio, quale è stato il più bel gol di Zico con la maglia dell’Udinese?

«Ne fece 19 in 20 partite prima di infortunarsi. Sono numeri di grande spessore. Se proprio devo sceglierne uno prendo quello con la Roma, per la qualità dell’azione: andammo in rete con tre passeggi. Poi sul podio c’è sicuramente quello in rovesciata a San Siro contro il Milan, perdevamo 3-1, finì 3-3».

E le punizioni? Ci racconta il segreto?

«Lui mi diceva “blocco” o “prima” per farmi capire quale soluzione voleva adottare e i portieri, anche se capivano, non ci arrivano sul pallone. Come sapevano Brini e Borini che si fermavano sul campo di allenamento per le punizioni. Ecco, nonostante il grande talento, Zico è sempre stato un grande lavoratore. Un esempio».

Ma come calciava il pallone?

«L’ho capito bene solo qualche anno dopo, quando cominciai a giocare sulla spiaggia di Copacabana a beach soccer, alla pelata, come dicono loro. Andavo per ritrovare vecchi amici come Zico, Edinho, Junior... Loro sfruttano l’effetto sul pallone colpendo con l’interno collo, un tiro che quindi è anche potente».

Causio, per il talento che esprimeva Zico ha vinto troppo poco?

«Gli è mancato l’acuto con la nazionale. Una nazionale fortissima per le individualità che aveva, ma che ha ha avuto la sfortuna di trovare sulla sua strada un’avversaria che era un grande gruppo, una vera squadra. La mia Italia, quella di Bearzot da 1978 all’82, l’anno del Mundial e della grande sconfitta del Brasile di Zico, Socrates, Falcao, Junior, Cerezo, Eder. Il Galinho non ha mai nascosto quest’amarezza. E purtroppo per lui non è riuscito a riscattarsi neppure quando divenne vice di Zagalo ai Mondiali del ’98 e perse in finale con la Francia».

E l’uomo Zico? Come è da “vecchio” campione?

«Un grande. L’ho capito subito, per la disponibilità. A fine carriera ho cominciato ad andare spesso a Rio per trovare la famiglia di mia moglie. Lui mi disse: quando ti serve qualcosa chiamami. Pensavo fosse una frase di circostanza.

Ma quando si accorse che ero senza macchina mi diede le chiavi: “ecco la mia”. Ricordo che dopo qualche giorno mi fermò la polizia per un controllo, io dissi soltanto: è la macchina di Zico, me l’ha prestata. “Vada pure, i documenti agli amici di Zico non servono!”, mi risposero gli agenti.».

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