«Aveva solo 17 anni ma già la personalità del campionissimo»

gli aneddoti
Lo ha conosciuto quando era ancora un ragazzino, ma il talento di quel 17enne caraibico che divorava la pedana era così luminoso che ne restò incantato. «Era il 1985, un meeting al coperto ad Ancona - ricorda Luca Toso, originario di Tavagnacco, che con il 2,32 saltato a Torino, nel 1988, stabilì l’allora record del salto in alto azzurro -. Avevo 21 anni, lui 17, ma sapevamo già chi era: aveva fatto il primato del mondo Juniores, saltando 2,33. Quella gara la vinsi io, a 2,24: lui arrivò terzo con 2,21 metri. Ma non c’erano dubbi: era stato facile capire cosa sarebbe diventato. Aveva talento, ma aveva soprattutto il carisma e la personalità del campione».
Previsioni che diventarano presto certezze. «Ci rivedemmo un mese e mezzo dopo, ai Mondiali indoor di Parigi: Javier arrivò secondo, saltando 2,32 metri. Tutti capirono che era pronto per dominare il mondo. Quello che mi ha sempre impressionato di Sotomayor, tuttavia, non sono talento o tecnica, ma la persona: di una determinazione pazzesca in gara, ma educato, disponibile, un campione di umanità e modestia».
Un identikit che corrisponde a quello fornito da Alessandro Talotti, originario di Campoformido che il 29 gennaio del 2005 varcò anche lui l’asticella posizionata a 2,32 metri, a Glasgow, stabilendo l’allora primato italiano indoor. «Quando mi avvicinai all’atletica lui aveva appena saltato 2,45: era uno che sapeva volare. A Viareggio ci saremmo dovuti affrontare in gara, ma si infortunò. Ci rivedemmo in altre occasioni, l’ho conosciuto meglio, era già un ambasciatore dello sport. Dava consigli a tutti, siamo diventati amici: lui ha smesso, io era al top della carriera, ci vedevamo ai meeting. È lì che ho capito cosa significa essere un campione: uno come lui che si fermava a parlare con i giovani, un amico, un maestro. Sempre con il sorriso. L’invito a Udine? È bastata una telefonata. Era già stato in Friuli. E voleva tornarci». —
M.C.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto