Australian open, Roger Federer: la leggenda eterna

Non potranno mai farci un film su questa partita, perché quella tra Roger Federer e Rafael Nadal è già un film e anche una leggenda intrisa di poesia, una pagina di storia sportiva e l’epilogo di un grande torneo.
Incidentalmente è tennis ma è come vedere Italia-Germania 4-3 o Gino Bartali e Fausto Coppi duellare al Tour de France. È come veder alzare una coppa del mondo di calcio dal 40enne Dino Zoff o veder sfrecciare in pista l’eterno Peter Pan 38enne Valentino Rossi.
È soprattutto una lezione di civiltà, è la “lesson one” di qualsiasi corso di sport, una cosa da far vedere in ogni scuola di vita, prim’ancora che in una scuola sportiva.
E non solo perché è la partita delle partite che va in scena in Mondovisione: un quasi 36enne che non vinceva un grande torneo da cinque anni e un quasi 31enne che lo aveva battuto in sei delle ultime otto finali. Insomma, due che li davano quasi per finiti, specie il primo.
E invece eccoli lì a giocare l’ennesima supersfida dove entrambi escono come due giganti. Ovvio, vince solo uno e a lungo si dibatterà sul valore dei trionfi di ognuno, sulle statistiche, sul momento storico attraversato dalle loro imprese. Ma adesso non conta.
Qui non c’è un attimo di sosta. A un certo punto, al quinto set, arriva lo scambio più lungo del match: 26 volte la palla rispedita dall’altra parte, ognuna può esser quella decisiva. Roba da restare senza fiato.
Tutto così bello che vorresti che questa partita immensa non finisca mai. Lo sai, mentre hai lo sguardo fisso nello schermo, che quella che stai vedendo è una leggenda in diretta. E poi, c’è quella magnifica regia (da film, appunto) che ci fa vedere gli sguardi prima e dopo ogni punto, quasi come se fosse un western di Sergio Leone, un duello degno del triello de “Il buono, il brutto e il cattivo”.
Questa sfida non è solo grande tennis, è un po’ la boxe di Rocky Balboa e Apollo Creed e un po’ la sfida a scacchi di Bobby Fisher e Boris Spassky.
Sfoderano mazzate che sfiorano i duecento orari ma è anche appassionante cercare di anticipare la risposta, il dopo, appunto come una mossa sulla scacchiera. Rafa e Roger alternano le vittorie nei set (6-4, 3-6, 6-1, 3-6) e arrivano al quinto, lo spagnolo passa avanti, poi lo svizzero recupera, ha la prima palla del match, poi un’altra.
L’immensa arena di Melbourne (e anche quella dei milioni di spettatori sui divani di tutto il mondo) è in silenzio. La vittoria arriva (il set finisce 6-3) per una palla che pizzica la riga.
Serve la verifica alla moviola, prima dell’abbraccio fra i contendenti e le lacrime liberatorie di quello che viene definito il più grande giocatore di sempre.
Lui piange, è un pianto liberatorio. Il confine fra vittoria e sconfitta raramente è stato così labile. Federer lo sa e lo sa anche Nadal. Le dichiarazioni del “dopo” sono la degna conclusione di questo film-leggenda.
Prima lo sconfitto: «Congratulazioni a Roger e al suo team. Straordinario giocare così bene dopo tanto tempo, immagino abbia lavorato tantissimo. Questo torneo sarà sempre nel mio cuore. Ho avuto momenti difficili e duri con infortuni ed è stata dura non potere competere al meglio, ma ho fatto tanto per essere qui, è stata una bellissima partita e Roger è stato un tantino più bravo di me e ha meritato di vincere».
Roger contraccambia incrociando lo sguardo dell’altro: «Quando ci siamo visti alla tua accademia quattro, cinque mesi fa non avremmo mai pensato di poter essere qui in finale, sono felice per te. Mi andava anche di perdere oggi da te. Il tennis è uno sport difficile, non c’è il pareggio. Oggi avrei accettato volentieri anche il pareggio».
Facile dirlo, dopo. Ma Roger sembrava sincero. Sincero come chi sa che per essere Federer ci vuole sempre un Nadal. Avversari sempre, nemici mai. Come in un bel film. Stavolta reale. Troppo bello al punto da farci sperare in un quinto set infinito.
twitter: @s_tamburini
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