Addio a Mazzinghi, leggenda della boxe Benvenuti: «Era quasi imbattibile»

il lutto
Sandro Mazzinghi, morto ottantunenne ieri a Pontedera, è stato un grande pugile ma soprattutto una perfetta metafora di una parte dell’Italia che fu, quella con la faccia intarsiata di rughe che si doveva sudare col sacrificio fisico (e nel suo caso anche col dolore) ogni soddisfazione. La vita lo ha contrapposto a un altro figura-prototipo di italiano, il bello, talentuoso, sfacciato e pure biondo, che a quei tempi faceva chic: insomma, Nino Benvenuti. Sono andati avanti decenni a odiarsi e fare pace, eppure sul ring si erano affrontati solo due volte nel 1965 per una totale di non più di un’ora.
Ma per amore loro un Paese si era spaccato. Erano gli anni a cavallo tra boom e contestazione, e l'Italia si divideva non solo tra generazioni: Mazzinghi o Benvenuti, scegliere tra i due rivali storici era come schierarsi per un partito al quale si sarebbe risultati iscritti a vita. Non è un caso che il Paese amasse i dualismi: non c’erano i social, tutti contro tutti come avviene adesso, le rivalità erano binarie e spesso gli astii andavano molto oltre l'effettiva portata delle differenze. E per la verità Mazzinghi e Benvenuti non hanno mai davvero chiuso la loro querelle, e non solo perché il toscano non accettò per 50 anni un verdetto che dava la vittoria all’istriano. Era la lotta tra il “predestinato” e la faccia da pugni, quasi due categorie dello spirito: come lo erano stati prima di loro Coppi e Bartali o come lo sarebbero stati Rivera-Mazzola, incarnazione della staffetta. La loro fortuna fu proprio che quell’Italia aveva bisogno di dividersi attorno a qualcosa, per sentirsi viva; si tifava per la voce tenorile di Claudio Villa o il ciuffo accattivante di Gianni Morandi, per la bellezza prorompente di Sophia Loren o per quella sofisticata di Gina Lollobrigida. Amare Mina era cosa del tutto diversa dall’ammirare la voce di Milva. Nascevi democristiano o comunista; sceglievi un tifo, ed era per sempre. Mazzinghi, che comunque fu due volte campione del mondo dei superwelter ed era letteralmente un guerriero del ring, visse la sua battaglia con Benvenuti combattendo anche a parole fuori dal ring. Da ragazzo, prima che sul ring, aveva dovuto “fare a pugni” con la sofferenza della fame vera e delle bombe che, ai tempi della guerra, cadevano sulla sua Pontedera. Raccontava che per evitarle andava sul fiume, e sognava un mondo migliore, in cui si sarebbe fatto largo in qualche modo. Ci riuscì grazie al pugilato, anche se avrebbe voluto, da buon toscano, fare il ciclista. Ma non poteva permettersi l’acquisto di una bicicletta e allora virò sulla boxe, perché già la praticava suo fratello Guido, per il quale Sandro provava «tanta ammirazione». «Per batterlo dovevi dare veramente qualcosa in più», dice ora Nino Benvenuti, ben consapevole che «per l’Italia dello sport eravamo come Coppi e Bartali». Delle sue doti da «guerriero» sa qualcosa il sudcoreano Ki-Soo Kim, contro il quale, davanti a 40mila spettatori a San Siro, nel maggio del 1968 Mazzinghi diede vita a un’autentica battaglia riconquistando il titolo mondiale dei superwelter. Quella vittoria, raccontava lui orgoglioso, pacificò Pontedera, casa madre della Piaggio e quindi, in quel Sessantotto di lotte operaie e studentesche, epicentro di contestazioni a cui quel match mise il silenziatore. Ma le sfide più belle, da epica sportiva, furono quelle con Benvenuti. Nella prima, il 18 giugno del 1965, Sandro era avanti fino alla sesta ripresa, quando Benvenuti lo mise Ko con un micidiale montante destro. Più controverso l’esito della rivincita, a Roma appena sei mesi dopo. Benvenuti fu quasi l'ombra di sé, ma per i giudici bastò per rivincere, e a Mazzinghi quel verdetto non andò mai giù. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto