Addio a Boskov, maestro di calcio

Un grande allenatore ma soprattutto un grande uomo. A 82 anni se ne va Vujadin Boskov, allenatore serbo che ha scritto la storia della Sampdoria. Centrocampista di qualità in Jugoslavia (con la nazionale vincerà l’argento olimpico a Helsinki ’52), una lunga militanza nel Vojvodina, nel ’61 sbarca in Italia per vestire la maglia blucerchiata. Resterà solo una stagione ma sarà l’inizio di un legame eterno. L’uomo di Novi Sad, dopo aver allenato per due anni la sua nazionale, comincia un lungo percorso che lo porta a lavorare in Olanda e poi in Spagna, dove l’esperienza al Saragozza gli spalanca le porte del Real Madrid (con cui vince un campionato, due Coppe e raggiunge anche la finale dell’allora Coppa dei Campioni, persa però col Liverpool). Torna in Italia nell’85, il tempo di riportare l’Ascoli in A, poi Paolo Mantovani lo vuole per la sua ambiziosa Sampdoria e lì Boskov diventa leggenda. Quella era la squadra di Mancini, Vialli, Pagliuca, Cerezo, Dossena, Lombardo, Salsano. La Samp vince e diverte, arrivano due Coppe Italia e una storica Coppa delle Coppe, ma l’apice è tra il ’91 e il ’92, con la conquista dello scudetto e la splendida cavalcata in Coppa dei Campioni fino alla finale persa col Barcellona. La carriera di allenatore di Boskov, di fatto, si chiude quel giorno. Seguiranno le esperienze con Roma (dove fece esordire un sedicenne Francesco Totti), Napoli, Servette, di nuovo Samp per una stagione e Perugia prima della chiusura al timone della Jugoslavia a Euro2000, dove arriva fino ai quarti. La sua strabordante simpatia resterà per sempre. Come le sue frasi. «Rigore è quando arbitro fischia» oppure «Gullit è come cervo che esce di foresta».
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