La Zebretta d’oro 2025 è di Atta: «Ora voglio ringraziare i tifosi dell’Udinese segnando in casa»
Assegnato il premio dell’Associazione Udinese Club ideato nel 2003 dal Messaggero Veneto. «È un onore, evidentemente piace il mio modo di stare in campo»

La famosa valigia sul letto, quella di un lungo viaggio resterà chiusa nell’armadio di Arthur Atta per almeno sei mesi: «Sì, certo: a gennaio non mi muoverò da qui. È una promessa», garantisce il vincitore per il 2025 della Zebretta d’oro, il premio ideato dal Messaggero Veneto nell’ormai lontano 2003 e realizzato in collaborazione con l’Associazione Udinese Club che raccoglie a fine di ogni anno solare le preferenze dei singoli sodalizi ed elegge il giocatore più amato, o quello che è stato protagonista di un episodio chiave, o chi ha portato in alto il nome del Friuli con la maglia bianconera addosso.
«È un onore, voglio ringraziare i nostri tifosi e realizzare per loro finalmente un gol in casa in campionato. Finora ci sono riuscito solo in Coppa Italia, i gol in Serie A li ho fatti tutti in trasferta», aggiunge il 22enne francese che ha appena finito un allenamento in palestra. Fermo all’inizio di dicembre per colpa di un guaio muscolare, recupererà la forma a gennaio.
Atta, finora ha disputato 40 partite in Serie A e ha subito rubato il cuore ai tifosi bianconeri, si è chiesto perché?
«Effettivamente ci sono domandato perché proprio io, visto che ci ci sono tanti giocatori di qualità qui all’Udinese. Evidentemente il mio modo di stare in campo piace e per questo devo solo ringraziarli»
Come è Atta calciatore?
«Uno che dà sempre il massimo. Quando si gioca a calcio bisogna fare questo. E io sono così e continuerò a farlo. Anche perché questa è una grande passione. Ho sempre desiderato essere un professionista e ora me la godo».
Cosa ha pensato quando ha saputo che, nell’estate del 2024, l’Udinese la cercava?
«Il club lo conoscevo perché da più di trent’anni è in A. La trattativa? Sono arrivato qui nell’ultimo giorno di mercato: è stato tutto molto veloce, ma non potevo dire di no a un club di A che ha tradizione e che è abituato a lanciare i giovani.
È cresciuto nel Rennes: lo sa che lo storico presidente della società della sua città oltre 100 anni fa era un friulano? Si chiamava Isidore Odorico era un mosaicista...
«Non lo sapevo, ma il centro di formazione del club dove mi allenavo si chiama “ETP Odorico”. Nel corridoio avevo notato questo nome, ora so che era un friulano».
È tanto differente il calcio francese?
«Là ci sono più spazi di gioco. Qui tutte le squadre difendono d’assieme. Il calcio italiono è più difficile. In Francia è più facile attaccare una difesa che fa blocco in sette, mentre qui sono undici».
Come era Atta ragazzino?
«La scuola era soprattutto un momento per giocare a pallone con gli amici. Dopo lo studio. Sono rimasto sempre lo stesso da questo punto di vista. Il calcio mi piace sempre tanto. Dove sono arrivato con la scuola? A 18 anni mi sono diplomato. La mia famiglia desiderava questo prima che mi dedicassi in tutto e per tutto allo sport e l’ho fatto».
L’idolo di gioventù?
«Cristiano Ronaldo. Sono diverso per caratteristiche? Sì, ma quando vedi un campione così, lo ammiri per le sue qualità. Le mie? Sono un centrocampista. Sono un giocatore versatile. Posso dribblare, ma anche correre tanto. Occupo una posizione che mi permette anche di pensare ai gol ed è vero che dovrei farne di più: devo cercare di diventare più concreto davanti alla porta».
Ci racconto l’Atta appassionato davanti alla tv...
«Non guardavo tante partite di Serie A. Ma conoscevo tutti i nomi dei giocatori. Guardavo la Ligue1 soprattutto. Ora guardo la A, oltre ai miei amici del Metz, con i quali ho giocato prima di arrivare qui. La nazionale? È difficile, la selezione francese è particolarmente competitiva nel mio ruolo, ma è un sogno per il futuro».
Il rapporto con il Friuli?
«Udine è piccola ma bella. Quando la mia famiglia viene a trovarmi andiamo sempre a passeggiare. Abito in centro. Gite? No, è difficile, abbiamo poco tempo. Mi piace la cucina. La pasta. Il frico? L’ho mangiato una volta, è grasso, ma è buonissimo».
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