Udinese, Runjaic sotto esame: la squadra non gira e il feeling con l’ambiente non decolla
Un solo punto in tre partite, gioco che latita e distanza con spogliatoio e tifosi. Il tecnico tedesco, ancora fedele al suo 3-5-2 e all’inglese, ora rischia davvero: la panchina non è più blindata

Chissà cosa avrà pensato Kosta Runjaic nei giorni scorsi apprendendo che il suo collega del Watford Paulo Pezzolano è stato esonerato dopo aver raccolto sette punti nelle ultime tre giornate (lui di punti ne ha fatto solo uno in tre partite). D’accordo che il Watford era stato costruito per vincere la Championship e al momento si trova undicesimo mentre l’Udinese ha come obiettivo primario la salvezza, ma forse per la prima volta da quando siede sulla panchina bianconera il tecnico tedesco non può dormire sonni tranquilli.
I fischi che hanno accompagnato la squadra negli spogliatoi dopo la gara con il Cagliari sono stati indicativi di quello che è l’umore della piazza. Che Runjaic, che per scelta ha deciso di non imparare l’italiano, non sia entrato in empatia con l’ambiente è un dato abbastanza assodato. La sensazione è che non lo sia totalmente nemmeno con la squadra. E poi c’è un gioco che latita e siccome quello che si vede in partita è il frutto del lavoro settimanale, sembra evidente che quello che viene fatto in allenamento non è sufficiente.
Qualche esempio? Nella settimana di preparazione alla gara d’esordio con il Verona Runjaic non avrebbe provato nemmeno una volta le palle inattive in fase difensiva. Risultato? Un corner a favore del Verona e gol del pareggio. Kosta è fedele al 3-5-2, il rendimento degli esterni latita, gli viene comprato Zanoli e lui continua a impostare la manovra con movimenti senza palla dei giocatori ridotti al minimo senza mai creare un movimento per lanciare Zanoli nello spazio, come se in campo ci fosse ancora Ehizibue. Puoi giocare palla addosso al compagno se hai in squadra elementi che sappiano saltare l’uomo, mentre nell’Udinese attuale non servono neanche le dita di una mano per contarli.
C’è poi il problema della lingua sul quale battiamo da tempo. Le conferenze stampa in inglese dopo un anno e mezzo sono una mancanza di rispetto nei confronti della platea che lo ascolta e nei confronti dei tifosi oltre che un modo per dribblare qualche domanda scabrosa. In questo senso ci stupisce che un ragazzo intelligente come Inler non abbia spinto il tecnico a convertirsi all’italiano. Max Allegri, non l’ultimo arrivato, appena tornato al Milan ha deciso di far pranzare la squadra in un grande tavolo quadrato in modo che i giocatori siano “obbligati” a guardarsi in faccia. Ma l’obbligo vero è quello di parlare italiano. Capito mister Kosta?
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