Udinese, addio al Sudamerica: da Zico e Sanchez a un solo cileno in rosa

Una volta terra di approdo per talenti da Brasile, Argentina e Colombia, oggi l’organico bianconero parla soprattutto polacco, francese e italiano. La fine di un’epoca che aveva regalato campioni e illusioni

Ido Cibischino

 

C’era una volta il Sudamerica col suo immenso mare di pedatores nel quale l’Udinese si immergeva con i suoi agenti e osservatori, dirottando in Friuli ondate di giocatori: diversi di essi hanno scritto belle e addirittura magnifiche pagine della storia bianconera, di altri restano foto sbiadite, altri ancora non hanno lasciato tracce. Cambiano in fretta le latitudini nel calcio, che spegne e accende mercati un po’ seguendo le mode, e molto per campionati che si svalutano per carenza di qualità e di campioni, mentre altri (vedi la Francia multietnica) vivono improvvise abbondanze calamitando gli interessi.

Sudamerica al minimo

Queste riflessioni sono state suggerite dall’esame dell’organico bianconero che, partito per la Turchia il veterano argentino Lautaro Giannetti, e tornato in prestito al Cincinnati da dove proveniva il deludentissimo brasiliano Brenner, flop da 10 milioni, presenta un unico rappresentante del Sudamerica: il giovane cileno Damian Pizarro, ancora improponibile per la prima squadra e anch’egli in procinto di essere spedito in prestito da qualche parte.

Fino all’ultimo giorno di mercato si poteva aggiungere il trentaseienne Alexis Sanchez legato ancora per un anno all’Udinese, ma il cileno ha capito che a Udine non tirava aria buona per lui e, rescisso consensualmente il contratto (da 2.8 milioni lordi), ha avuto via libera dai Pozzo per tornare in Spagna, stavolta al Siviglia dopo l’esperienza al Barcellona di Leo Messi. Registrata la “fuga” di Thauvin, andato a chiudere la carriera al Lens con vantaggioso contratto triennale, per Sanchez poteva aprirsi un certo spazio nella nuova Udinese, a patto che, con un atto di umiltà e vincendo le presunzioni che si porta dietro per via del glorioso passato, stesse alle regole di Kosta Runjiaic.

Al netto dagli infortuni, nella passata stagione il tecnico tedesco non gli ha fatto sconti trattandolo come tutti gli altri e pretendendo una dedizione totale ai suoi schemi e al suo stile di lavoro. Sanchez non ha gradito: “L’allenatore non mi ha capito” ha dichiarato il Nino, che probabilmente si aspettava un trattamento di favore o che la squadra gli fosse disegnata addosso. Ormai roba vecchia, amen. Se il tema è il Sudamerica, pare ghiotta l’occasione di un sommario ripasso dei nomi passati in Friuli per vestire la maglia bianconera. Apriamo allora l’album di famiglia, davvero ricco di volti e di ricordi ad essi collegati.

Brasile

Partendo da Rio, il primo personaggio che affiora è quello di Orlando Pereira, difensore anzianotto che Franco Dal Cin prelevò dal Vasco da Gama per la stagione 1981-’82. Il barbuto centrale se la cavò con onore prima di lasciare il posto a Edinho, cui in piena era Mazza si aggiunse il campione dei campioni, sua maestà Zico. Grande intuizione di Gino Pozzo fu il rilancio di Marcio Amoroso, da accostare ad altri bei personaggi come Felipe, Danilo, Becao, Allan, Walace, Samir, mentre hanno lasciato tracce labili l’ala Alberto, Barreto, Gabriel Silva, Warley, Marcos Paulo, Ryder Matos, Ewandro, Edenilson, Evangelista, il regista a 5 all’ora Guilherme, il difensore Neuton, Williams spacciato per il nuovo Gattuso e rivelatosi una ciofeca. La maglia nera spetta a Maicosuel, il “mago” del Botafogo, un mattocchio ingestibile e reo di aver calciato, e sbagliato, un rigore a cucchiaio pagato caro nel preliminare contro lo Sporting Braga: era il 28 agosto del 2012 e l’Udinese ci rimise l’ingresso in Champions proprio ai tiri dal dischetto. Guidolin andò fuori di testa mettendosi in discussione al limite delle dimissioni.

Argentina

L’avo degli argentini approdati a Udine risponde al nome di Luis Pentrelli, un’ala che onorò la milizia friulana per cinque stagioni di serie A dal 1957 al 1962 prima di essere ceduto alla Fiorentina quando i bianconeri finirono in B.

Investimenti sicuri quelli sugli argentini se pensiamo a Balbo e Sensini, primi pezzi pregiati dell’era Pozzo, quindi a Roberto Sosa, Almiron, Diaz, Navas e Pineda, e più recentemente a Musso, Molina, Perez e Rodrigo De Paul.

Si sono persi per strada, invece, ragazzi che promettevano come Laurito e Tissone. L’ultimo, Lautaro Giannetti, si è rivelato difensore di mestiere, tuttavia troppo statico per le pretese dinamiche di Runjaic.

Colombia e Cile

Altro bel mercato la Colombia, sul quale l’Udinese si è fiondata con successo. Brilla il nome di Luis Muriel, diamante grezzo al quale l’Udinese ha riservato attenzioni e coccole venendone ripagata soltanto in parte. Ma non v’è dubbio che si trattava di un vero talento, come tale si rivelò Cuadrado che però il meglio lo rivelò altrove: Guidolin non riuscì a inquadrarlo macerandosi nel dilemma se si trattasse di un terzino o di un’ala. Hanno lasciato buoni ricordi i due Zapata, il difensore Cristian e il possente centravanti Duvan ora al Torino; e strappa ancora un sorriso Pablo Armero, cursore di fascia dalla vita piuttosto movimentata.

Tre nomi su tutti: Alexis Sanchez, Mauricio Isla, David Pizarro. Ossia un talento assoluto che esplose quando Guidolin lo tolse dalla fascia per piazzarlo mezza punta alle spalle di Di Natale formando così un duo irresistibile; un mediano di testa e di gamba; un regista capace di far girare qualsiasi squadra, dalla classe inversamente proporzionale alla sua modesta altezza. Ha ballato poco in Friuli, invece, il centrocampista Manuel Iturra, arrivato all’Udinese dal Granada nel 2015, che poi ha concluso un’onesta carriera tra Spagna e Israele.

Gli altri Paesi

Sui loro nomi era appiccicata l’etichetta di sicura promessa. Ma a Udine non sono riusciti a ritagliarsi spazi di conferma. Soltanto fugaci nella stagione 2015-16 le apparizioni di Adalberto Penaranda, centravanti venezuelano dal ciuffo ossigenato. Completò il “triangolo pozziano” finendo prima al Granada e poi al Watford prima di un mezzo giro del mondo concluso nella squadra di Sarajevo.

Non era fatto per l’Europa, intesa come calcio e ambiente, l’uruguagio Nico Lopez, agile attaccante esterno che nel 2013 l’Udinese prelevò dalla Roma nell’affare Benatia. Nico un piccolo segno l’ha lasciato: tre gol, prima di finire al Verona (annata deludente) e quindi al Granada, preludio al ritorno nell’amato Sudamerica e rinascere come cannoniere: Brasile (International), Messico (Tigres e Leon) e il natio Uruguay (National di Montevideo) hanno testimoniato di un talento particolare, buono per il calcio di casa.

Un piccolo ricordo lo riserviamo a Ivan Piris, uno dei quattro paraguaiani (gli altri rispondono ai nomi di Da Silva, De Vaca e Toledo) transitati per Udine. L’aveva voluto Zeman per la Roma, che poi nel 2014 lo dirottò in prestito all’Udinese. Tracagnotto, rubava l’occhio per velocità e grinta, che non bastarono per la conferma.

Meriterebbe un romanzo la carriera di Winston Parks, attaccante costaricano che ballò pochi mesi a Udine prima di un giro del mondo sotto cento bandiere, da Mosca al Brasile.

L’Udinese di oggi

Decisamente in controtendenza l’Udinese odierna, alla cui costruzione ha avuto voce in capitolo, a differenza dei predecessori, l’allenatore Kosta Runjaic. Suo l’imput per far arrivare dalla Polonia, dove ha allenato per otto stagioni, due nazionali, il centrocampista Piotrowski e la punta centrale Buksa, dopo che un anno fa aveva raccomandato il metronomo Karlstrom come sostituto del brasiliano Walace.

I polacchi vengono a inserirsi in un gruppo che più multietnico non si può: sono ben 19 (sì, avete letto bene: diciannove) le nazionalità da cui provengono vecchi e nuovi bianconeri. Non si tratta di record: nell’estate del 2011, l’Udinese aveva sotto contratto 80 giocatori di 24 nazioni diverse e Roy Hodgson ne portò in ritiro più di 40.

La piacevole novità di quest’anno è data dal fatto che gli italiani sono tornati in maggioranza: ben quattro i nuovi innesti (Bertola, Nunziante, Zanoli, Zaniolo) che si aggiungono al portiere Padelli e compensano la partenza di Lucca. È la Francia la seconda nazione più rappresentata con Atta, Solet, Hassane Kamara e Abdoulaye Camara. Con due portacolori troviamo, oltre alla Polonia, l’Olanda (Ehizibue ed Ekkelenkamp), la Slovenia che presenta Lovric e Pejicic, e la Spagna con Zarraga e Iker Bravo.

Completano il circuito europeo Goglichidze (il nazionale georgiano prelevato dall’Empoli), Rui Modesto (Portogallo), Karlstrom (Svezia), Kabasele (Belgio), Davis (Inghilterra), Miller (Scozia), Sava (Romania) e Palma (Germania). L’Africa schiera il portiere Okoye (Nigeria), Zemura (Zimbabwe), Bayo (Costa D’Avorio) e il giovane attaccante appena arrivato Idrissa Gueye (Senegal). L’unico superstite sudamericano è, come si diceva, il ventenne cileno Damien Pizarro.

Come si intendono tutti questi baldi giovanotti? La lingua dominante è l’inglese, i francesi si arrangiano in proprio, gli altri con un po’ di italiano gesticolato e nel linguaggio universale del calcio di cui tutti conoscono i termini necessari.

Il tutto con la supervisione di Kosta Runjaic che in fatto di lingue è decisamente attrezzato: tedesco, inglese, polacco e… sarebbe ora che nelle conferenze stampa si decidesse a conversare nella lingua del divino Alighieri. Ma mi sa che continuerà a fare orecchie da mercante. Gli conviene, così evita equivoci e trabocchetti, e si dà un tono da mister internazionale.

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