L’economia del Friuli Venezia Giulia tra le più orientate al commercio estero
Top 500 di Nem e Pwc Italia, il record appannaggio della provincia di Gorizia grazie alla cantieristica, Udine vende i macchinari, Pordenone i mobili

I recenti avvenimenti geopolitici e commerciali hanno alterato profondamente l’architettura della supply chain globale, interrompendo equilibri consolidati e inducendo le imprese a riconfigurare le proprie reti di fornitura, come dimostrato dallo scoppio della guerra in Ucraina, che ha costretto molti Paesi occidentali a ricercare fonti alternative per soddisfare il proprio fabbisogno energetico: nel 2019, il 40% circa del gas naturale in forma gassosa importato nell’Unione europea proveniva dalla Russia; nel 2024, la percentuale è scesa al 10%.
I recenti sconvolgimenti economici, geopolitici e commerciali degli ultimi anni hanno causato anche forti rialzi nei prezzi delle materie prime, in particolare petrolio e gas. Questi aumenti hanno colpito in maniera diretta i costi di produzione delle imprese più energivore, ma hanno colpito indirettamente anche le imprese meno dipendenti da tali risorse, ad esempio attraverso l’incremento dei costi di trasporto, sensibilmente superiori rispetto ai livelli pre-pandemici.
A seguito dei dazi introdotti dalla presidenza statunitense, che hanno costretto le imprese a operare in un contesto di forte incertezza e a ripensare le proprie strategie di business verso gli Stati Uniti, le aziende di diversi settori si sono trovate a rivedere i propri piani industriali, con il rischio di dover trasferire parte dei maggiori costi sui consumatori finali. La persistenza di un clima di incertezza emerge con chiarezza anche dagli indici relativi alle politiche economiche, commerciali e geopolitiche. Dopo il picco raggiunto ad aprile, tutti i principali indici hanno registrato dei cali significativi, anche se il grado di incertezza rimane ancora superiore agli standard storici.
In un contesto globale segnato da incertezza, tensioni geopolitiche e misure protezionistiche, disporre di una visione chiara sulle caratteristiche dell’economia locale consente di individuare con maggiore precisione le leve su cui agire per poter affrontare questi momenti di instabilità.
Alla fine del 2024, in Friuli Venezia Giulia erano attive circa 86.735 imprese. Il 21% di queste operava nel commercio, il 16% nel settore delle costruzioni, il 14% nell’agricoltura, selvicoltura e pesca, il 10% nella manifattura. Il settore imprenditoriale friulano è composto in prevalenza da imprese di piccole dimensioni. Secondo i dati Istat, nel 2022 (ultimo anno disponibile), il 93% delle imprese era costituito da meno di 10 dipendenti, il 6% da imprese composte da 10 a 49 dipendenti.
Commercio con l’estero
Quella friulana è tra le economie regionali del Paese più orientate al commercio con l’estero: il peso dell’export si aggira infatti intorno al 40-50% del Pil regionale. Gli Stati Uniti sono il primo Paese partner delle imprese friulane, con il 12% circa sul totale dell’export del 2024. Seguono Germania (11%), Regno Unito (7,4%), Francia (6,8%) e Svizzera (6,3%). Verso gli Stati Uniti, il Friuli esporta in prevalenza mezzi di trasporto, in particolare navi e imbarcazioni (43% circa del totale dell’export verso gli Usa), seguito da macchinari e apparecchiature industriali (19,6% del totale) e dai mobili (15%).
Gorizia è la provincia che esporta di più verso gli Usa: nel 2024, il suo export copriva il 43% delle esportazioni regionali. Seguono Udine e Pordenone, rispettivamente con il 27 e il 24%; ultima Trieste, con il 5%. Il primato di Gorizia è dovuto soprattutto alla cantieristica: da sola ha esportato quasi 1 miliardo di euro in navi e imbarcazioni, pari al 99% dell’export regionale e al 62% del totale nazionale. Udine esporta invece in prevalenza macchinari e apparecchi industriali (il 72% circa dell’export regionale), Pordenone mobili (81% dell’export regionale) e Trieste prodotti alimentari (60% dell’export regionale).
Importazioni
Per quanto riguarda le importazioni, i Paesi da cui la regione ha importato di più nel 2024 sono la Germania (12,5% del totale), la Cina (8,3%), l’Austria (6,2%) e la Francia (4,6%); si segnala anche un 4,2% dalla Federazione russa. Dalla Germania, il Friuli importa in prevalenza macchinari e apparecchiature industriali, metalli di base, prodotti in metallo e sostanze e prodotti chimici. Dalla Cina, il Friuli importa soprattutto metalli di base e prodotti in metallo (per un valore di 359 milioni di euro), macchinari e apparecchi industriali (171 milioni) e computer, apparecchi elettronici e ottici (112 milioni). Simile l’import proveniente dalla Russia: nel 2024 sono stati importati prodotti provenienti dalla siderurgia per un totale di 447 milioni di euro, destinati esclusivamente alla provincia di Udine. Negli ultimi anni, inoltre, si evidenzia un incremento nell’import di tali prodotti: nel 2019, tali importazioni ammontavano a solo 160 milioni di euro in valore.
Per un’economia così orientata all’export, l’efficienza delle infrastrutture logistiche rappresenta una caratteristica fondamentale. Il porto di Trieste, infatti, ricopre un ruolo chiave nella supply chain friulana, italiana ed europea. Basta pensare che nel 2024 il porto ha movimentato 2.500 treni da e per la sola Germania, Paese che ricopre il 32% circa del traffico ferroviario complessivo. Oltre alla logistica, Trieste svolge da sempre un ruolo strategico anche sul piano energetico; attraverso l’oleodotto transalpino TAL, viene rifornita la totalità del fabbisogno petrolifero della Germania meridionale. Tuttavia, secondo Assoporti, Trieste è anche uno dei porti più esposti nel commercio con gli Usa: nel primo semestre 2024 (ultimi dati disponibili), sono transitate dal porto circa 1.612 migliaia di tonnellate da e verso gli Stati Uniti, il valore più alto fra tutti i porti della penisola.
L’impatto dei dazi
È ancora troppo presto per valutare l’impatto dei dazi in termini di merci movimentate. Durante il primo semestre del 2025, sono transitate dal porto di Trieste circa 28.748 mila tonnellate di merci da tutto il mondo (-0,21% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), mantenendo quindi una situazione sostanzialmente stabile. Tuttavia, siamo ancora ben lontani dai dati registrati prima della Pandemia. Nel 2019, dal solo porto di Trieste sono transitate merci per un totale di 61.998.318 tonnellate; nel 2024, solo 59.540.505 (-3,9%). Inoltre, alcuni dei principali Paesi di destinazione e di approvvigionamento nella supply chain regionale si sono dimostrati negli ultimi anni poco affidabili, contribuendo direttamente al clima di incertezza globale che stiamo vivendo. Anche la prevalenza di imprese di piccola dimensione rende il tessuto industriale friulano particolarmente esposto alle minacce di shock esterni. In questo contesto, occorre favorire strategie imprenditoriali che garantiscano alle imprese friulane di poter resistere a shock esogeni, senza compromettere il profilo tipico dell’economia della regione. —
*Partner PwC Italia
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