Zeitlinger: «Con la realtà virtuale vi apro le porte dei miei racconti»
Il famoso direttore della fotografia presenta la prima serie web in friulano. A Villacaccia il progetto ideato con Marco Fabbro ed Enrico Maso

Giornata di immersione nella realtà virtuale ai Colonos per il sesto evento di “In File” 2023. Tal respîr dal mont”. Innovazione e tradizione che si nutrono a vicenda. In fondo è questo, da sempre, il segreto dell’aia e della vecchia stalla di Villacaccia.
Oggi, dalle 10 alle 20, con la collaborazione dell’azienda manzanese “Linea Fabbrica”, sarà possibile catapultarsi in “33/16 Serie VR” di Marco Fabbro e Enrico Maso, la prima serie web in friulano, girata interamente con telecamere a 360° e suono direzionale, in 3D.
Una storia di fantascienza ucronica, ispirata a un fatto accaduto in Friuli nel 1969. Un progetto pluripremiato per la tecnica innovativa, finanziato dal Fondo audiovisivo Fvg e dall’Arlef, che vanta una firma d’eccezione: il direttore della fotografia Peter Zeitlinger che ci guida in questa avventura virtuale.
Come mai ha scelto di vivere in Friuli?
«Ho sempre vissuto in posti belli, lavorando in tutto il mondo. Trovare rifugio dallo stress è importante per questa professione. Sono rimasto 10 anni in Croazia sul mare. Poi mi sono trasferito in Friuli. Avendo cavalli, cercavo il verde. Ho scoperto un posto stupendo sul Natisone con vicini di casa molto carini».
Perché ha aderito al progetto?
«Credo nel lavoro a chilometro zero, qui in Friuli, per film girati in zona. Marco Fabbro mi ha interpellato per la web serie stereoscopica a 360° in lingua friulana nella realtà virtuale. Sono sempre stato interessato alle nuove tecnologie. Volevo scoprirne le possibilità anche se con un budget limitato. Ho una società di postproduzione con giovani collaboratori molto in gamba, cosi ho accettato questo lavoro che mi sembrava una bella avventura».
Riprese a 360°: tanti occhi su ogni dettaglio della scena? Complicato e affascinante. Come nascondere attrezzature o tecnici?
«Abbiamo costruito con Gabriele Fuso un dolly radiocomandato per poter compiere movimenti di camera senza la troupe in scena. L’illuminazione non poteva essere fatta con luci cinematografiche che si sarebbero viste. Quindi abbiamo usato luci diegetiche, ossia della scenografia stessa, schermate per dirigere la luce. Poi la schermatura è stata tolta con effetti speciali nella postproduzione. Non ci sono inquadrature, per cui sono fondamentali i movimenti degli attori che devono essere tutti coreografati. È un progetto crossmediale tra cinema, teatro e gaming».
“33/16” è un progetto di giovani. È vero che lei ha iniziato a 13 anni con una cinepresa di 8 mm?
«Sono nato a Praga. A causa dell'occupazione sovietica nel ’68 mi trasferii con mia madre nella vicina Austria. A nemmeno 10 anni dovetti imparare una nuova lingua e per questo mi esprimevo anche con schizzi e dipinti. A13 scoprii la possibilità di far muovere le immagini. In piena pubertà andavo di nascosto nello studio ginecologico del padre di un mio amico che aveva una cinepresa da 8 mm. La usai per molte notti con la lampada operatoria per creare film d’animazione sgattaiolando fuori alle prime luci dell’alba. Scoperto dal ginecologo, non venni rimproverato. Anzi, al contrario, il medico, colpito dai film, regalò la cinepresa a me, “povero figlio di rifugiati”. Così potei lavorare nel mondo esterno durante il giorno».
Ha imparato qualche parola friulana?
«Avendo ristrutturato casa a Premariacco, ho imparato le parole della costruzione: cjanton, martiel, vît, davant e daûr».
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