Vittorio Emanuele a villa Italia di Torreano accanto ai suoi soldati

Un viaggio nella nostra storia nel centenario della grande guerra: luoghi, personaggi ed eventi in uno dei principali teatri dei combattimenti. La nona puntata

Sono finalmente uscito dall’ospedale militare udinese. Mi fa compagnia la stampella che alleggerisce il mio peso (anche se non è eccessivo) sulla gamba col femore bloccato da un chiodo o qualcosa di simile, dopo che una pallottola di mitraglia l’ha scheggiato senza rispettare la mia veste di inviato virtuale in abito civile.

Il medico che mi ha accompagnato all’auto in attesa è stato molto gentile e mi ha confessato che sarebbe stato opportuno prolungare la mia sosta a letto, ma il crescente numero di feriti che ogni giorno arrivano malandati dai vari fronti costringe ai miracoli delle guarigioni affrettate per fare posto ai nuovi arrivati. L’auto è partita senza sollevare polvere e si è diretta alla periferia nord di Udine, poi è proseguita verso la fascia collinare di Fagagna.

Conoscendo abbastanza bene la zona, ho capito che l’autista conosceva già la meta e difatti pochi minuti dopo siamo arrivati a Torreano di Martignacco, un paesino di poche anime, a una decina di chilometri da Udine; nella distesa di verde mi è apparsa quasi di sorpresa una costruzione che sembra una gemma, circondata da un muricciolo oltre il quale si intravvedono viali alberati, aiuole, siepi e zampilli d’acqua che cade in una vasca dove guizza qualche pesce rosso.

E’ Villa Italia, sede del Comando supremo dell’esercito e residenza temporanea di Re Vittorio Emanuele, che vuole far sentire la sua presenza alle truppe, infondendo loro fiducia e coraggio (corrono altre voci, ma senza riscontro, secondo le quali, percorrendo ogni giorno le linee di combattimento, terrebbe sotto controllo le decisioni di Cadorna, che finora non avrebbe ottenuto grandi successi); dell’andamento della guerra, comunque, mi riprometto di scrivere ampiamente nei prossimi giorni, quando la gamba azzoppata non mi sarà di impedimento; oggi sono ancora obbligato a muovermi nel quartier generale, dove - mi dicono - il Re è presente dal 29 maggio.

L’autista si è fermato all’ingresso, le guardie mi hanno riconosciuto e si sono rallegrate per la mia guarigione. La villa è di proprietà dell’avvocato Pietro Linussa e non ha nulla delle grandi e lussuose abitazioni di campagna costruite con lo sfarzo del 700, le sale decorate a stucchi dove si respira l’aria del minuetto; qui abita tutto l’anno la sorella del proprietario, la signora Elisa Linussa, alla quale sono state riservate alcune stanze affinché non debba cambiare le sue abitudini.

Dapprima sono giunte a Villa Italia alcune persone della Casa reale che hanno sistemato i mobili e le camere, applicando il nome di chi le occuperà sull’uscio di ciascuna, ad eccezione di una (la più appartata, con due sole finestre che si aprono su un cortile rustico, evidentemente destinata al Re). Il sovrano e il seguito erano attesi nella mattina di domenica 29 maggio, ma per errore il corteo anziché Villa Linussa ha raggiunto Villa Orgnani, poco lontana, e Villa di Prampero, sullo stesso percorso: un disguido banale, ma da osservatore estraneo all’apparato non vorrei fosse un segno di improvvisazione e faciloneria delle gerarchie italiane.

Comunque sia, qualche amico ritrovato mi ha assicurato che il Re si è subito adattato all’ambiente, apprezzandolo per l’atmosfera di tranquillità che vi ha trovato. Sono così fioriti alcuni aneddoti che hanno accresciuto anche tra i contadini della zona il rispetto e l’umano apprezzamento nei confronti di Vittorio Emanuele, che a sua volta ha espresso in più occasioni la simpatia per la gente del posto: si è addirittura occupato dell’allevamento di bachi che la signora Linussa seguiva in un’ala della villa, confidandole che l’agricoltura era una delle sue passioni.

Le giornate in cui rimaneva nello studio trascorrevano all’insegna di una ferrea regolarità, secondo l’insegnamento di Tacito: «Desco comune, condito di frugalità, amenità, amichevole dialogo, urbani sali, gara d‘onorarsi, indi parco, breve sonno e da capo a nuove cure, a nuove umanità». Ogni mattina parte con un’automobile di colore grigio, sempre scoperta anche se il tempo è piovoso; nessuno conosce l’itinerario del giorno; immancabilmente visita posizioni occupate dalle truppe, poi si ferma presso i comandi e interroga gli ufficiali sulla situazione; a mezzogiorno sceglie qualche luogo appartato e in un quarto d’ora circa fa colazione: due uova sode o una frittata fredda, carne fredda, formaggio e frutta.

Il ritorno in Villa Italia avviene verso le 16; quando l’auto grigia attraversa Udine molti cittadini riconoscono il Re che, avvolto in una mantellina per ripararsi dal freddo e dalla pioggia, siede di solito dietro il generale Brusati e spesso riceve battimani e qualche mazzo di fiori lanciato dalla gente. Dopo un riposo di pochi minuti, decide se dedicarsi al lavoro nel suo studio o respirare un po’ di serenità all’aria aperta; in quest’ultimo caso, raggiunge di solito il cortile retrostante l’edificio e si intrattiene con i bambini che giocano. Villa Italia è stata scelta personalmente dal Re perché ritenuta più idonea alla sicurezza, tuttavia della residenza reale in Friuli sono venuti a conoscenza anche gli austriaci. Non ci sono state finora incursioni di aerei nemici sulla zona, ma più volte qualche velivolo si è spinto in ricognizione su Torreano e alcune bombe sono state lanciate su Pagnacco.

La vita del Re corre rischi anche durante le ispezioni ai confini; gli austriaci si servono di spie che conoscono e segnalano l’itinerario, tanto che spesso si avverte un intensificarsi della sparatoria al passaggio della vettura. Ho indugiato a lungo - come i lettori avvertiranno - nel far conoscere i luoghi e le giornate del nostro Re, ma credo ne valesse la pena, perché la sua presenza laddove si combatte per l’Italia infonde coraggio ai nostri impareggiabili soldati. Si è fatta sera e gli ufficiali che sono rientrati al Quartier generale si apprestano a raggiungere il solito Caffè Dorta, a Udine, diventato l’appendice di Villa Italia.

Sono incerto se accodarmi, perché la stampella mi impedisce i facili movimenti, ma l’amicizia anche in tempi di guerra - anzi, sopratutto in tempi di guerra - quando si manifesta è segno elevato di umanità: ed ecco un giovane maggiore porgermi il braccio e “comandarmi” di seguirlo lentamente. Sono arrivato anch’io al Dorta e ho potuto attingere notizie sulla situazione del conflitto, sulla quale mi soffermerò ampiamente non appena sarò in grado di raggiungere le trincee.

Per ora ho appreso un quadro che sintetizzo in attesa dei necessari approfondimenti. Gli austriaci comandati dal generale Conrad si sono ritirati in posizioni facilmente difendibili. Le truppe italiane hanno varcato il confino solo nella zona compresa tra la valle del Torre, le valli del Natisone, il Cividalese e Cormons raggiungendo l’Isonzo a Plezzo, a Caporetto, a Tolmino e a Plava, dove sono state fermate. In direzione di Gorizia la strada è stata sbarrata dagli austriaci che si sono arroccati sul Sabotino, a Oslavia, sul Podgora e sul Calvario. Nella Bassa friulana, dopo avere occupato Cervignano, abbiamo perso tempo prezioso prima di passare l’Isonzo e la marcia verso Trieste è stata arrestata sulle alture carsiche del monte San Michele, di Fogliano e di Monfalcone. Il tempo perduto per le incertezze del generale Cadorna ha consentito agli austriaci di trincerarsi. Così è incominciata la guerra di posizione.

Le opinioni che si scambiano gli ufficiali al Caffè Dorta sono le più disparate: sulle valutazioni di ciascuno pesa ancora l’originaria matrice interventista o neutralista e credo che torti e ragioni potranno essere definiti soltanto alla fine della guerra. Certo è che sarà una grande guerra.

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