Venzone rinata: ecco i coraggiosi che impedirono scempi da archistar

Un libro racconta come fu recuperato il centro storico. Il sisma, i progettisti postmoderni, la scelta controcorrente
Il ministro Gullotti posa la prima pietra del palazzo Orgnani-Martina. Da sinistra l’assessore Calderari, il consigliere di Roma Alfonsi, l’assessore regionale Dominici, il sindaco Valent e il presidente Fvg Biasutti
Il ministro Gullotti posa la prima pietra del palazzo Orgnani-Martina. Da sinistra l’assessore Calderari, il consigliere di Roma Alfonsi, l’assessore regionale Dominici, il sindaco Valent e il presidente Fvg Biasutti

VENZONE. Venzone ricostruita dov’era e com’era per volontà della gente, di politici lungimiranti, giovani architetti, tecnici capaci e sindaci coraggiosi. A loro dobbiamo il merito di aver ricomposto la cittadella medievale diventata un modello di restauro a cui, da Norcia a Notre Dame, si guarda con interesse.

Siamo di fronte a una ricomposizione architettonica che indica la via per mantenere in vita la memoria e l’anima dei luoghi. Nel libro “Venzone rinata” (Aviani & Aviani editori) che sabato 18 maggio, alle 11, sarà presentato nella sala consiliare di Venzone, gli autori Giampaolo Della Marina, Maurizio Brufatto, Fiorenzo Valent, Miriam Calderari, Giacomo Beorchia, Giorgio Pilosio, Aldo Topan e Ada Bellina, rendono merito ai protagonisti della ricostruzione di questo pezzo di Friuli, ricordati solo in parte nel quarantennale del terremoto.

Gli uomini e le donne che hanno reso possibile questa storia ripercorrono i passaggi tecnici e amministrativi pensati e applicati nel momento in cui si guardava con un po’di timore alle ricostruzioni di Varsavia e delle città tedesche bombardate nella seconda guerra mondiale.

«Durante le commemorazioni per il quarantennale del terremoto – spiega l’architetto Della Marina, curatore assieme a Brufatto dell’opera – sono state dette molte inesattezze. Mi sono reso conto che per Venzone, a differenza di Gemona, non era mai stato fatto qualcosa di complessivo sulla ricostruzione delle abitazioni.

Ho pensato, quindi, di riunire i protagonisti partendo dal sindaco che aveva gestito l’emergenza, Antonio Sacchetto, a quello della ricostruzione Valent, dall’assessore al Centro storico Calderari, ai neo laureati in architettura nonché componenti dell’ufficio per il centro storico costituito dalla stessa Calderari, e dell’ufficio tecnico potenziato perché, come scrive Beorchia, parliamo di un evento gigantesco per la portata dei comuni».

È stato fatto «un lavoro inclusivo, non esclusivo» dedicato al professore di Restauro architettonico dell’università di Venezia, Romeo Ballardini e ai venzonesi riuniti nel Comitato 19 marzo, dove Remo Cacitti svolse un ruolo determinante.

Questo libro vuole documentare il valore del modello Friuli, frutto di un’intesa politica, tecnica e comunitaria, che ha saputo «coniugare le esigenze della popolazione declinandole nella realtà». La linea venne tracciata dal Piano particolareggiato firmato da Ballardini, «il professore – ricorda Della Marina – che ha fatto da garante al Ministero dei beni culturali per l’operazione Venzone».

Quel piano «impedì a professionisti di spessore come Gino Valle di esprimersi seguendo le teorie del postmoderno in voga allora». Non fu facile privilegiare la ricomposizione nel momento in cui il dibattito sul com’era e dov’era si contrapponeva all’idea del nuovo.

«Nei primissimi anni ’80 – chiarisce Della Marina – era diffuso il cosiddetto stile postmoderno, il cui capofila era il professor Paolo Portoghesi. L’edificio ospitante gli uffici comunali, costruito tra il 1979 e il 1981 su progetto dell’architetto Pirzio Biroli, può ritenersi un esempio di quell’espressione architettonica».

All’interno delle mura le contrapposizioni non mancavano, significativo il cartello lasciato ai piedi della gru fatta installare dal sindaco per calmare le acque: «Questa gru non solleverà neppure una pietra».

All’autore di quel gesto «oggi possiamo dire – sono sempre le parole di Della Marina – che si stava sbagliando» perché «il recupero di un notevole numero di elementi lapidei connotati stilisticamente, la documentazione esistente e la memoria di ogni singolo abitante hanno permesso di porre in atto una continuità temporale tra il preesistente e il ricostruito, evitando e superando il rischio del falso».

Se questo è avvenuto, continua Della Marina, è merito delle deleghe concesse dallo Stato alla Regione e ai Comuni, dal rigore del direttore della Segreteria generale straordinaria, Emanuele Chiavola, che cercava «complici» e non collaboratori.

L’elenco dei protagonisti di allora è lungo e, per esigenze di spazio, si rimanda alla lettura del libro. A distanza di 43 anni, però, resta un unico rammarico: come hanno scritto gli autori de “Le pietre dello scandalo”, «la materia prima con la quale puoi ricostruire sono le pietre e a Venzone – conclude Della Marina – si è proceduto troppo in fretta con le demolizioni».

Il dibattito è ancora aperto. L’esempio di Venzone è sotto gli occhi di tutti, anche di chi oggi si interroga sulla ricostruzione della guglia di Notre Dame. –


 

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