Un vortice di emozioni e colori stregati da quel pallone che rotola
Del calcio ci si innamora senza alcuna ragione. Succede e basta, come il susseguirsi delle stagioni. Non possiamo farci nulla, cercarne un significato è fatica sprecata, oltre che, onestamente, del tutto inutile. Provate a pensare a quante volte parliamo di calcio nel corso di una giornata, quante volte pensiamo alla nostra squadra e quante volte l’immagine di una partita, di un gol, di un gesto tecnico, ci soccorre in situazioni improbabili. E, allo stesso modo, quante volte dimentichiamo, in questi flussi emozionali, che il calcio, o anche solo l’idea di esso, è soprattutto un album della memoria. Individuale, collettiva, ma anche storica, politica e sociale.
E anche se la condizione naturale del tifoso, come insegna Nick Hornby (uno che la sa lunga sul percorso di vita scandito dalle vicende della squadra del cuore) è l’amara delusione, indipendentemente dal risultato, sfogliare le pagine di quell’album può rappresentare una perversa forma di masochismo, ma a volte, al culmine della nostra smania di emozioni, un porto sicuro dove trovare la serenità per crederci ancora. Insomma, che piaccia o no, del pallone non possiamo fare a meno.
Altra verità: non è semplice scrivere di calcio. O meglio, scrivere bene di calcio, con piglio originale, padronanza letteraria e felice sincronia tra anima, riflessione e puro istinto. Non lo è, a maggior ragione, alla fine di un anno in cui sono scomparsi due profeti dei nostri sentimenti sportivi, due tra quelli che, come insegnava Osvaldo Soriano, creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. E uno spazio fecondo di ricordi dolcissimi, con bella scrittura e invidiabile senso di appartenenza, è stato creato da Giuseppe Passoni, giornalista, blogger e autore di teatro cividalese, che con i suoi “Viaggi nel Pallone” (Aviani & Aviani) apre le stanze più soleggiate della nostra storia sportiva, in un viaggio di mezzo secolo colorato di azzurro, di bianconero (quello nostro), di biancorosso, come il vessillo di Cividale. Chi ha vissuto in Friuli - e non solo - le avventure calcistiche degli ultimi decenni, nel periodo più florido, luminoso e avvenente della storia del calcio mondiale, troverà in questo memoir gli occhi del bambino che si affaccia per la prima volta sull’adorato prato verde, il ricordo delle più grandi - e forse irripetibili - imprese dell’Udinese, la rievocazione di personaggi straordinari che hanno ammantato di leggenda lo sport più bello (si pensi al nostro Enzo Bearzot, ai campioni del mondo del 1982 e al ricordo di quell’estate). Ma, soprattutto, la consapevolezza che il sogno, ancora oggi, comincia sempre dietro la porta di casa, nel campetto del paese, anche nel calcio a 7, tra eroi locali, capitani coraggiosi, centrocampisti dal carisma inarrivabile e gol insperati che ti fanno nascere “quella” seconda volta. —
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