Dix: “Tolstoj e Beethoven ci parlano ancora. La ‘Kreutzer’ è un grido contro la gelosia assassina”
L’attore porta al Mittelfest un viaggio teatrale e musicale tra le note di Beethoven e le parole di Tolstoj: “Un racconto feroce, sempre attuale, che interroga la coscienza più della cronaca”

Beethoven e Tolstoj, sebbene divisi da una sessantina d’anni a favore del russo nato del 1828, si ritrovarono a gestire un’opera, “Sonata a Kreutzer”, composizione per pianoforte e violino in la maggiore n.9 scritta dal genio tedesco e idealizzata dallo scrittore di Tula come pretesto per un racconto duro e crudo. E, dunque, risale su da secoli brulicanti di materia incandescente il nuovo spettacolo di Gioele Dix, in collaborazione con “I solisti di Pavia”, miscellanea teatral-musicale che esalta un testo maledettamente attuale, nonostante inali l’ossigeno di fine Ottocento.
Siamo al cividalese “Mittelfest, trentaquattresima sosta colta nelle arti della Mitteleuropa, nell’edizione dei Tabù.
Ebbene stasera, domenica 20, alle 21.30 in piazza Duomo, si farà sentire tutto il vigore sonoro, letterario e sociale de “La sonata a Kreutzer”, si diceva, con la voce narrante di Dix e la melodia dei solisti pavesi con il primo violino di Laura Marzadori.
Altre sue incursioni mittelfestiane del passato, Gioele?
«Portai proprio a Cividale, molti anni fa ormai, un omaggio a Giorgio Gaber, un personaggio che continuo a celebrare con l’ultimo show “Ma per fortuna che c’era il Gaber” — parafrasando, appunto, la canzone del Riccardo — con molti inediti autorizzati dalla Fondazione. Stavolta, invece, mi sporgo sulla platea con un’operazione più complessa e che una volta soltanto è stata finora proposta. Mittelfest si rivela essere un fondale prezioso per la messinscena».
Tolstoj faticò non poco a trovare la giusta versione del romanzo che inizialmente non ebbe affatto successo.
«Già, e per la pubblicazione dovette intercedere pure lo zar Alessandro III, che sicuramente non riuscì a leggerlo, ma lo scrittore godeva di gran fama. Come accadde per Picasso: rispettato persino dai nazisti».
E lei ha mai stentato a trovare la quadra di un suo spettacolo, poi accolto freddamente?
«Io appartengo a quella generazione romantica di attori che faticarono parecchio prima di raccogliere applausi. Lustri a vagare sotto una luce fioca, ma all’esplosione le spalle si rivelarono robuste e pronte a sopportare qualunque peso».
Tornando velocemente a Kreutzer, come ha incrociato il progetto?
«I Solisti pensarono di esibirsi con la partitura beethoveniana in una particolare trascrizione per archi e chiesero se mi avesse fatto piacere prendermi cura della voce narrante. Curioso come il compositore di Bonn dedicò la “Sonata” inizialmente a un virtuoso, tale Bridgetower, ma fra i due, pare a causa di una femmina, calò il buio e Ludwig, a quel punto, indirizzò l’omaggio al violinista Rodolphe Kreutzer, che mai peraltro la eseguì».
Tolstoj rimase folgorato dal primo movimento, tanto da intitolare un suo romanzo forte…
«Anche impetuoso, direi. Allora sui treni si parlava e il protagonista Vasja Pozdnyšev svela a un compagno di viaggio di aver ucciso la moglie e, per questo femminicidio— chiamiamolo col nome contemporaneo — fu processato e sorprendentemente assolto. Il suo, racconta Vasja allo sconosciuto, è stato un raptus di gelosia nei confronti di lei colta di sorpresa a suonare il pianoforte assieme a un violinista. Guarda caso c’era la “Kreutzer” sugli spartiti. Nemmeno un abbraccio fra loro, nulla di sconveniente, ma è bastato quel gesto musicale molto innocente per stravolgere i sentimenti di lui. E da qui lo scatenarsi della follia descritta con una potenza inaudita, come solo Tolstoj sapeva fare».
Un testo antico che arriva al terzo millennio con la stessa carica emotiva.
«E terribilmente attuale. Al tempo della stesura Tolstoj aveva appena completato la sua conversione religiosa, per la quale abbraccerà gli ideali pacifisti. In questo scritto l’autore è abilissimo nel non giudicare il suo assassino e, soprattutto, nel sorprendere il lettore con un’assoluzione per “delitto d’onore”’ — abolito in Italia nel 1981, per dire — sebbene lui l’avesse uccisa senza essere sicuro del tradimento e, per giunta, non amandola più. Pozdnyšev non si dà pace per la decisione del tribunale, che di fatto ha silenziato il gesto, ma il peso è talmente enorme da non riuscire a capacitarsi. E in questo sta la grandezza di un testo che non si ferma all’azione, ma pone problemi esistenziali pronti per essere sviscerati in qualunque epoca». —
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