Un viaggio nei cimiteri friulani accompagnati da Paolo Patui

Nicoletta Simoncello
«Ce ne andiamo, ma restiamo. Restano il nostro nome, i nostri occhi, il nostro sguardo, il nostro sorriso triste, la nostra tristezza sorridente; restiamo in chi ci è vissuto accanto per poco o per tanto. E rimanendo trasmettiamo, da estinti, la vita». Questo il senso che lo scrittore Paolo Patui, insegnante in pensione e ideatore della rassegna di rEsistenza Letteraria “LeggerMente” a San Daniele, ha voluto dare a Scusate la polvere, edito da Bottega Errante (2019). Guidato da un enigmatico custode e stuzzicato da una studentessa dark, il narratore riporta alla memoria storie sepolte, partendo dal cimitero San Vito di Udine scopre riti di sepoltura sconosciuti all’Occidente.
Come mai ha sentito la necessità di trattare questo particolare tema?
«Il tema della dimenticanza per me è sempre stato molto importante, trapela nella storia della letteratura internazionale. Avevo un dedito da sciogliere nei confronti di qualche persona amica che è scomparsa recentemente, come lo scrittore quasi dimenticato Elio Bartolini, che per me è stato una sorta di padre culturale. In questi nostri tempi la rimozione è incentivata, ma è un limite molto grande perché perdiamo la prospettiva: vogliamo essere ricordati e per questo è necessario rispolverare la memoria».
C’è una storia a cui è particolarmente legato?
«Ci sono tante storie a cui sono legato, come quella di Elio Bartolini, come detto, a cui sono vicino. Ma la vicenda che mi ha colpito forse più di ogni altra è quella dei due fratellini Guatto morti negli anni’60 nel giorno dell’Epifania, sono stati travolti insieme da una macchina. Mi ha colpito che i genitori poi hanno avuto di nuovo due figli a cui hanno dato lo stesso nome».
Di primo acchito il libro si presenta come romanzo intriso di riflessione e dolore, ma in realtà poi si rivela leggero e ironico. Perché ha scelto di affrontare la morte in questa chiave stilistica?
«Per me la leggerezza è fondamentale in tutte le cose, è un insegnamento di Calvino. Tutti possono aspettarsi una cosa lugubre e oscura, ma per usare una tecnica di scrittura diversa ho deciso di realizzarlo così. Ma anche perché uno degli obiettivi del libro è far si che l’autore e il lettore affrontino questo passaggio obbligato in modo sereno: la morte è più forte e vince, bisogna imparare a comprenderla, se non anche ad accettarla».
Il libro è anche un viaggio, una guida tra i campisanti del Fvg, ma anche del mondo, da Berlino a Parigi e fino a Praga...
«A me è piaciuto citare alcuni cimiteri di culture non occidentali in cui c’è il ritorno dell’essere umano nella natura, come nell’incavo di un albero per essere riconsegnati alla madre terra. Il protagonista dice più volte di volere una tomba nella terra, non una colombaia. E questa visione un po’ materialista e laica viene più volte sollecitata dal custode, che evoca il lato spirituale. Si tratta di una domanda che non ho ancora risolto: io sono a metà strada, ma in fin dei conti si tratta della grande incognita che tutti ci portiamo dentro». –
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