Un friulano tra i grandi della danza all’evento mondiale di Losanna

Elisabetta Ceron
Vive a Stoccarda il danzatore friulano Nicola Biasutti, e lavora nella culla del balletto tedesco, la rinomata John Cranko Schule, coltivando – in veste di Maestro – talenti in fieri della scena coreutica. Nei prossimi giorni sarà tra i protagonisti del Premio di Losanna, come coach, evento mondiale della danza.
A San Daniele, dove è nato, Nicola ha lasciato un pezzetto di cuore oltre alla sua famiglia, per raccogliere successi e conferme in tutto il mondo, dall’Opera di Zurigo all’Opera di Dresda. La sua passione, fatta di sacrificio e lavoro meticoloso, lo vede iniziare gli studi a Udine per poi diplomarsi alla Scuola della Scala di Milano ed “espatriare” al Bolshoi di Mosca con una borsa di studio. «Erano gli anni ‘70 e la danza veniva considerata uno “svago per signorine”, non certo un mestiere». E Nicola, uno dei rari maschi che hanno fatto balletto in Friuli, a quei tempi ha aperto la strada del professionismo coreutico al maschile. «Oggi – sottolinea – è tutto diverso, il danzatore deve avere un corpo da modello, una tecnica votata all’atletismo e una capacità di gestire se stesso sui social. Un’esagerazione che rischia di far perdere il vero senso della danza, arte sublime di espressione. Il problema, secondo me, è che troppi ballerini anche noti offrono questa “immagine” di sé alle nuove generazioni, per cui logicamente tutti seguono a catena. Io cerco, nel possibile, di inculcare ai miei allievi il senso di quello che fanno ogni giorno in classe, studiare seriamente, esprimere con anima e corpo e non cercare solo il risultato veloce attraverso la quantità dimenticando la vera qualità del movimento».
Quando lei ha smesso la carriera si è formato come Maestro alla National Ballett School di Toronto e oggi è ingaggiato come coach del Prix de Lausanne, uno dei più famosi al mondo. «Si tratta di uno dei pochi concorsi di danza dove i ragazzi vengono seguiti con cura e amore. Passano una settimana fantastica, tra insegnanti e coreografi incredibili e imparano tantissimo in un breve periodo di tempo. Torno sempre galvanizzato a casa, e, se mi chiamano per tornarci, mi rallegro ogni volta». Un percorso fortemente pedagogico il suo che però guarda già alla professione. Da che punti di vista? «omprendo sempre più la complessità del mestiere, i corpi, le personalità che ho davanti e l’importanza dell’approccio psicologico. A Stoccarda abbiamo la fortuna di avere uno stretto contatto con la compagnia, che ingaggia molti dei nostri allievi. Ogni danzatore però necessita di un’attenzione diversa, ma è proprio questo a essere interessante nel nostro lavoro. Aver ballato non vuol dire sapere automaticamente insegnare, certo aiuta ed è anche essenziale, ma sono mondi diversi». —
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