Un altro prof friulano per “Il Collegio”: «Sono un insegnante severo ma giusto»
L’udinese Andrea Zilli, docente di sostegno a Codroipo, nel cast del reality su Raidue: «I ragazzi vanno motivati»

UDINE. Ai provini che gli hanno aperto le porte alla settima edizione de “Il Collegio”, lui si è definito «un professore “bizzarro”. Un insegnante abbastanza amato dagli studenti, severo ma giusto: non sono mancati gli scontri con alcuni di loro, d’altronde è stato proprio il mio “pugno di ferro” a convincere gli autori durante i provini».
Andrea Zilli, udinese, classe 1990, insegnante di discipline Tecnico-Pratiche fra cui dattilografia, nel docu-reality trasmesso su Rai Due, ha una vita professionale a dir poco sorprendente: professore di ruolo abilitato a soli 27 anni per le scuole secondarie in ben 6 discipline diverse, ha due diplomi di qualifica, due diplomi di maturità, due lauree di cui una in scienze religiose, con una tesi dal titolo “Una donna, un mistero: la mariologia da Paolo VI a Giovanni Paolo II”, e una terza, in arrivo in filologia moderna presso la facoltà di letteratura, lingua e cultura italiana.
Il primo tirocinio ancora minorenne, a 17 anni, per l’insegnamento della lingua friulana e della religione cattolica, a ventiquattro anni professore nella stessa scuola, l’Isis. “Bonaldo Stringher”, dove cinque anni prima aveva fatto la maturità, educatore di minori stranieri, “non accompagnati”, volontario della Protezione civile e autista/estricatore nelle ambulanze del 118, è intervenuto nelle maxi emergenze. In breve un enfant prodige, con la vocazione per l’insegnamento, e un inesausto desiderio di imparare e di condividere quanto sa.
Che differenze ci sono tra l’insegnante-personaggio dello show televisivo e il “vero” professore?
«Il Collegio è ambientato nel 1958. Ho il ruolo di un professore intransigente, coinvolto con questi miei discenti, determinato, rigoroso con le regole, trasmettitore di passione. In classe non sono molto severo come nel reality a meno che gli studenti non manchino di rispetto a un collega, ad esempio. Allora divento il prof del Collegio. Al momento sono insegnante di sostegno all’Istituto “Jacopo Linussio” di Codroipo e sono riuscito a creare un rapporto profondo di rispetto, attenzione, coerenza e comprensione con gli studenti. Non mi siedo accanto al ragazzo a cui faccio sostegno per non etichettarlo, ma vicino al collega che è in cattedra, “sono un insegnante di classe”, ai ragazzi deve essere chiaro che ho le stesse prerogative dei colleghi. Sono autorevole, che significa essere giusto, gentile, equilibrato. Un insegnante deve essere preparato anche sulle problematiche dei ragazzi. Non è un amico, né uno psicologo, né un genitore. Deve motivare al desiderio di imparare».
Lei ha insegnato all’infanzia e alle primarie, oltre che alle secondarie di primo e secondo grado, passando nel 2015 anche per il mondo universitario. Che idea si è fatto dei giovani e che differenze ci sono con quelli raccontati del’58?
«Ho notato che i ragazzini, anche alle primarie sono spesso apatici. Non si rendono conto di fare del male ai compagni, ad esempio o di causare un dolore. Sembra non gli interessi. Mentre prima il cambio generazionale c’era ogni cinque anni adesso è ogni anno. Penso che prima di cominciare a insegnare bisognerebbe fare un test attitudinale. Io l’ho fatto e da insegnante mi metto sempre in discussione. I ragazzi di adesso rispetto a quelli del 58? Usano l’ironia e se adesso possono dire a un professore particolarmente severo “io la denuncio”, nel 1958 era impossibile. Una cosa è certa: se dai importanza alle regole devi avere una buona autostima e rispettare tu le regole per primo. Io la lezione la costruisco insieme ai ragazzi».
Cosa vorrebbe cambiare nella Scuola?
«Vorrei che si bloccasse il fenomeno della dispersione scolastica. È stato un errore abolire nel professionale la qualifica in terza. I ragazzi sono costretti ad andare in quinta e spesso non ce la fanno. Sono gli stessi genitori a chiedere di abbassare l’asticella del merito. Ma non può funzionare così. Bisogna far sentire ai ragazzi che ci interessano e spingerli a imparare».
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