Udine ospita la mostra sulla Shoah di Helga Weissova

Disegni esposti a Palazzo Morpurgo. L’artista praghese, 87 anni, ha vissuto la tragedia della deportazione dapprima nel ghetto, poi in tre campi di concentramento

UDINE. «Guardate questo disegno: è incredibile. Qui l’autrice è riuscita a immaginarsi il suo futuro. Ed era solo una ragazzina. Davvero geniale», ha commentato stupito il sindaco Furio Honsell. Lo ha fatto guardando uno dei disegni di Helga Weissova esposti a Palazzo Morpurgo nella mostra “Disegna ciò che vedi. Helga Weissova: da Terezín i disegni di una bambina” (visite fino al 26 febbraio).

Un disegno a colori realizzato nel 1943 che raffigura tre scene separate da una linea che scandisce tre anni diversi. Una culla nel 1929, anno di nascita dell’autrice. L’interno di un lager nel 1943, anno di realizzazione del disegno.

E un intensamente sognato 1957, che per Helga Weissova, allora solo quattordicenne, si è fortunosamente realizzato. Si è avverato infatti solo per uno scarto favorevole del destino, alla fine dell’incubo della deportazione nei campi di sterminio nazisti. Vi si vede una mamma con un passeggino per le vie di Praga, l’immagine proiettata di sé stessa da adulta.

L’artista praghese Helga, oggi ottantasettenne, mamma lo è diventata davvero, dopo quegli anni di deportazione prima nel ghetto di Terezín, poi ad Auschwitz, poi a Freiberg (vicino Dresda) nel campo ausiliario di Flossenbürg e infine a Mauthausen, dopo i sedici giorni di “marcia della morte” a piedi nel freddo e nel fango per raggiungerlo.

Anche quella terribile marcia viene disegnata, in bianco e nero, in uno dei ventisette fogli formato cartolina esposti nella mostra, con gli esseri umani ridotti a mere larve spogliate della propria dignità. Anche se si tratta solamente di riproduzioni - gli originali, sessantasei in tutto, sono gelosamente custoditi dall’autrice nel proprio divano, così ha raccontato la conservatrice Silvia Bianco - questi lavori conservano l’originaria forza, che è al tempo stesso candida e visionaria.

E sono arrivati fino a noi perché vennero murati nello stesso ghetto di Terezín dallo zio della ragazzina, che alla fine di quei terribili mesi di prigionia, dopo la liberazione da parte degli americani, tornò a prenderseli.

Ventisette disegni che mostrano le tappe di un viaggio all’inferno eppure conservano, almeno nei primi mesi di vita nel ghetto, una visione della vita carica di speranze e di sogni.

Lo si vede in “Arrivo a Terezín” un disegno ancora a colori dove famiglie di ebrei a coppie con pochi bagagli siglati e bambini al seguito mostrano pose dignitose e volti composti e sorridenti, quasi stessero fingendo, a se stessi e ai propri bambini, di andare in vacanza.

Gli stessi volti che nei disegni successivi diventano maschere senza bocca, in attesa di una razione di cibo (In fila) o appendici di corpi nudi e scheletrici in attesa della doccia finale davanti ad un uomo in divisa da SS (La selezione). Di undicimila bambini ne sopravvissero centocinquanta, da quella ecatombe. E Helga riuscì a salvarsi probabilmente anche grazie al suo talento artistico e alle sue immense risorse vitali.

«Di fronte ai drammatici temi attuali della diversità e dei mutamenti demografici – ha sottolineato Honsell -, bisogna sedersi dalla parte delle minoranze. Oggi nessuno si commuove per i bimbi delle minoranze africane, siriane o thailandesi, come nessuno si commosse per quelli di Terezín, fino a quando non li vediamo giacere riversi sul bagnasciuga.

E allora con ipocrisia, facciamo a gara nel sentirci giustamente commossi e scandalizzati, ci “sediamo dalla parte della ragione” ma forse avremmo dovuto non essere complici e “sederci dalla parte del torto”, per dirla con Brecht, prima che ciò avvenisse».

«Questa mostra - ha detto l’assessore alla cultura Federico Pirone - rappresenta una aspirazione di libertà: Helga Weissova sognava di uscire e noi dedichiamo questa mostra proprio ai giovani affinché desiderino valori veri e conoscano il senso di appartenenza e di libertà.

Dobbiamo essere cittadini europei che hanno un unico perimetro di valori. L’Europa sarà tale se recupererà un senso di appartenenza e comunità di destino. E non potrà fare a meno del riconoscimento di una memoria comune anche attraverso questa tragedia e quella di altre minoranze perseguitate.

E in questo Udine si sente una città civile, una città fortemente europea. Soprattutto attraverso l’accoglienza di mostre come questa».

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