Trentacinque anni de I Papu: festa a Pordenone con nove serate di fila

Gli spettacoli dal 27 luglio al 4 agosto al castello di Torre. «Ogni spettacolo sarà diverso: abbiamo un menù di sketch e sarà il pubblico a deciderne alcuni»

Cristina Savi
I Papu
I Papu

Trentacinque anni sul palco senza smettere di ridere né di prendersi troppo sul serio, senza litigare o sciogliersi: un record quasi più raro di una riunione dei Beatles. E invece I Papu – alias Andrea Appi e Ramiro Besa – ci sono ancora, vivi, vegeti e soprattutto comici. E per festeggiare la lunga convivenza artistica tornano sul palco di casa, a Pordenone, nel parco del Castello di Torre, dal 27 luglio al 4 agosto, alle 21, in “35 anni senza battere ciglio” Nove serate di fila, con o senza ombrello (in caso di pioggia si va in auditorium S. Giuseppe di Borgomeduna).

«Immaginate di entrare a teatro e non sapere cosa succederà», dice Andrea. «Ogni sera sarà diversa: abbiamo un menù di sketch e sarà il pubblico a deciderne alcuni. Con un sorteggio, non guidato... (forse!)». I mitici ciclisti o l’irresistibile aggiustaossi sono garantiti. E c’è da scommettere che anche Lidia e Fernanda…

Un salto nel tempo: era il 1989, una festa dell’ecologia a Pieve di Cadore. È stato, per I Papu, il primo spettacolo “serio” in pubblico. Facevano imitazioni. «Craxi, Fantozzi, Lilli Gruber, Mike Bongiorno – racconta Ramiro – e la gente rideva…». Poi sono arrivati i personaggi originali: i primi, il veneziano e lo scozzese, l’ultimo “Il conte alla rovescia”, ispirato a un vero archeologo friulano, il Conte di Ragogna.

Ma come si sono incontrati i due Papu? Entrambi del 1964, frequentavano l’istituto Kennedy di Pordenone. «Mai stati in classe insieme, ma entrambi eravamo in sezione A», spiega Andrea. «Avevamo lo stesso prof di italiano: Mauro Brusadin, detto Pappu». Da lì il nome del duo, semplificato, per pigrizia adolescenziale, in Papu, con una sola p. «Quando ci incontrava in centro, urlava, divertito, “Voglio la Siae!”»

Ramiro ricorda come momento “fondativo” una gita scolastica a Parma, auto-organizzata: “Io in quarta, Andrea in quinta. Tre giorni insieme, pernottamento low cost grazie al cugino di una compagna di classe che apriva un albergo. Intrattenevamo tutti imitando i professori». La chimica era nata. Fra comicità, studio, improvvisazione e ricerca, i due non hanno mai smesso di sperimentare. Dalle esibizioni nei capannoni, sulle spiagge, nei tendoni, rifugi o bar di quartiere (tutte location citate nel sottotitolo del nuovo spettacolo), fino alla tivù. «Telefriuli ci ha dato una grande spinta, nel 1997 e 1998, con programmi come Mis mas e Far est», racconta Ramiro. «Poi siamo approdati a Convention su Rai Due, e per anni a Colorado, su Italia 1. Non era scontato, partendo da Pordenone e senza Internet».

Il loro percorso li ha portati anche al cinema: entrambi ne “Il grande passo” con Battiston e Fresi, Andrea in “Finché c’è Prosecco c’è speranza”, sempre con Battiston, Ramiro in “Cose dell’altro mondo” con Abatantuono. «Ogni tanto facciamo esperienze da single, ma alla fine torniamo sempre a fare squadra».

Nel frattempo, ben 36 spettacoli prodotti. E negli ultimi anni anche la comicità al servizio del sociale. «Parliamo di sicurezza sul lavoro, salute, con progetti fra teatro e formazione» dice Andrea. «Trasformiamo i convegni noiosi in spettacoli divertenti, ma che lasciano il segno».

E adesso, questo show a Torre: uno scrigno di ricordi, improvvisazione e affetto con il pubblico che li ama da sempre. Un invito a ridere, ma anche a celebrare una lunga strada percorsa a suon di battute. Senza mai battere ciglio. 

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