Tre cordate per Nives Meroi sull’Annapurna: «Lassù la solidarietà vince contro i pregiudizi»

La regina degli ottomila si racconta in un nuovo libro “Il volo del corvo timido” resoconto dell’ultima scalata in Nepal con il marito Romano Benet 

UDINE. È un altro tassello che si aggiunge allo straordinario quadro d’alta quota della coppia più alta del mondo. Da pochi giorni è in libreria “Il volo del corvo timido” (edito da Rizzoli), l’ultimo libro scritto da Nives Meroi.

Vi si racconta l’avventura dell’Annapurna, tappa conclusiva del lungo e accidentato percorso di conquista dei quattordici “ottomila” della terra portato a termine nel 2017 da lei e dal marito Romano Benet.

Un libro che non è solo il “récit d’ascension” dell’impresa, il diario di salita del viaggio fino al campo base – e di qui alla vetta e ritorno –, ma una storia tratteggiata con sensibilità, con gusto femminile che, a passo a passo, accompagna il lettore dentro il racconto.

Nives Meroi e Romano Benet, da Tarvisio ai tetti del mondo: è friulana la prima coppia salita su tutti gli Ottomila
L'alpinista Romano Benet e la moglie Nives Meroi in una foto senza data. Benet ha scalato in circa 30 anni ben 11 Ottomila e ora torna in vetta dopo due trapianti. ANSA / UFFICIO STAMPA CAI +++NO SALES - EDITORIAL USE ONLY+++


Eh già, perché grazie alla penna di Nives pare di essere lì con loro in Nepal, a migliaia di metri di altitudine, a vedere e percepire tutto: dal rumore dei fiocchi di neve sulla tenda al fragore del crollo di un seracco, dal volo dei gracchi in cerca degli avanzi di cibo allo scenario di un “mare in tempesta congelato di colpo”, orrido e sublime al tempo stesso. Ma anche senso del quotidiano e delle piccole cose.

«Non sono una scrittrice – dice Nives –, ma mi diverte raccontare storie. Durante il trekking di avvicinamento compro un quaderno e tengo il diario della spedizione. Al campo base c’è molto tempo e puoi farlo scorrere al suo ritmo, cogliendo quei particolari dietro cui si nasconde la realtà».

Una psicologa osservatrice? «Una ficcanaso più che altro, oltre che un’implacabile signorina Rottermeier», risponde lei, ridendo. E infatti c’è molto sense of humour in questo lavoro di penna. Perché Nives rivela dubbi, fragilità e mette a nudo con autoironia aspetti e schermaglie della relazione di coppia. Quasi uno “stream of consciousness”.

E c’è poi l’accettazione del cambiamento e del diverso, che porta a rivedere parametri ritenuti inflessibili. Come il trasporto in elicottero fino al campo base, tragitto compiuto sempre rigorosamente a piedi in più giorni dai due tarvisiani, sia nel 2006 con Luca Vuerich, sia nel tentativo del 2009. O come, in un momento difficile, quasi tragico, del rientro dalla cima, il carattere salvifico della musica portata a 7.500 metri dai trentenni cileni che han fatto squadra con loro.

«Ho dovuto ammettere che quanto avevo considerato superfluo all’impresa, alla fine ha contribuito al suo buon esito. La musica ci ha alleggerito l’animo tirandoci fuori dalle difficoltà. Infatti è quello un po’ il senso del corvo ( il titolo del libro, ndr), che qui da noi ha fama funesta, ma in altre culture simboleggia lungimiranza e saggezza. Questi viaggi ti aiutano a sgretolare i pregiudizi».

Essenziale sull’Annapurna è stata l’unione – non programmata a priori – delle forze di tre cordate, la loro, quella dei cileni e quella degli spagnoli accomunate da un unico permesso, facendo di questa una spedizione (e un alpinismo) d’altri tempi.

«Attraverso l’unione delle diversità siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo e tornar giù sani e salvi. Arrivati lì ognuno voleva fare la sua via e tenere la propria individualità di cordata. Ci siamo dovuti rendere conto che non ce l’avremmo fatta senza unire le forze e le diverse personalità».

Una conferma dell’alpinismo controcorrente dei due tarvisiani che, a quanto pare, sono anche contagiosi in quello che definiscono un «alpinismo onesto, a metà tra l’alpinismo estremo e il turismo d’alta quota».

E poi c’è un “praticello delle favole” che nel progredire dell’ascensione fa da confine tra la vita e la roulette russa delle valanghe e dei ghiacciai, nel cui labirinto però Romano riesce sempre con il suo fiuto a trovare la via giusta.

Ma lui cosa avrà detto del libro? «Ah, niente naturalmente. Lui è balcanico. Bisogna interpretare gli sguardi. Ma mi pare che non gli sia dispiaciuto».

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