Elisabetta Sgarbi trasforma in un film un libro di Scerbanenco
L’attrice e regista porta nelle sale il film tratto da “l’Isola degli idealisti”. L’anteprima sabato al Cinecity di Lignano Sabbiadoro. L’8 maggio l’uscita in Italia

I noir non sono sempre così affascinanti, cercano con freddezza l’intrigo esibendo uno o più morti, quindi sviano sulle tracce di un movente. “L’isola degli idealisti”, al contrario, eccelle per l’eleganza e la raffinatezza di linguaggio. Sfogliando le pagine t’immagini di starci pure tu su quell’isola, tant’è efficace l’empatia con i personaggi.
Ebbene. Elisabetta Sgarbi, editrice e regista, ha trasformato in film la storia di Giorgio Scerbanenco. E per ricordare il periodo lignanese dello scrittore, l’anteprima dell’opera cinematografica con Tommaso Ragno ed Elena Radonicich avverrà sabato 3 maggio, alle 21, al Cinecity di Sabbiadoro.
In Italia l’uscita in sala è prevista per giovedì 8.
Inizierei da Scerbanenco, Elisabetta Sgarbi, uno straordinario narratore che riuscì a imporre uno stile noir inusuale per la metà del Novecento, a quanto si ricorda allora piuttosto America dipendente.
C’è una dote letteraria dello scrittore che l’ha convinta a pubblicare con “La Nave di Teseo” i suoi romanzi?
«Lui è un grande costruttore di storie. Ha raccontato con sensibilità straordinaria i cambiamenti della società italiana del dopoguerra. E, soprattutto, ha creato personaggi femminili memorabili, molto contemporanei, dalle sfumature sottili. “L’isola degli idealisti” vive di donne decisive, già negli anni Quaranta, in largo anticipo sui tempi. E nel film ho sottolineato questo aspetto».
È del 2018 l’uscita in libreria de “L’isola degli idealisti”, un racconto scritto in gioventù dall’autore ucraino, che in Italia trovò la gloria, recuperato dal figlio Alan (dopo essere stato custodito dalla moglie Teresa Bandini) e ceduto alla sorella Cecilia. Ha subito pensato di farne un film?
«Quando l’ho letto la prima volta, ho visto l’Isola, la Villa, i Sotterranei, l’acqua come via di fuga e protezione. I personaggi. Mentre leggevo, pensavo già a dove e con chi avrei voluto girare un film. Non c’era soggetto, non c’era sceneggiatura, non c’era produttore. Ma le immagini affioravano».
Editrice e regista: un palleggio intrigante che lei gestisce in che modo, Elisabetta?
«Il tempo: per potere fare questo film ho impiegato sei anni, da che è nato il desiderio fino al momento delle riprese. Non è stato soltanto il tempo per scriverlo, produrlo (grazie a Bibi Film e Rai Cinema), ma il tempo per leggere molti romanzi di Scerbanenco (che via via “La Nave” ha pubblicato con la curatela della figlia Cecilia) per poter entrare con grande libertà e consapevolezza nella trama dell’Isola degli idealisti. L’intreccio del film e la costruzione dell’umanità si nutrono di diversi suoi romanzi».
Diciamo subito dell’anteprima a Lignano del 3 maggio al Cinecity di Sabbiadoro. Un omaggio alla terra che Scerbanenco amò negli ultimi anni di vita?
«È un omaggio a lui e a Cecilia. Il tour degli “Idealisti” si apre proprio a Lignano, il luogo di Scerbanenco, a cui lui stesso ha dedicato almeno tre romanzi. Si tratta dell’anteprima, dopo la presentazione al Festival del Cinema di Roma. Vorrei fosse una grande festa per questo autore».
Intrigante e soprattutto ricco di sfumature è il materiale umano che si scontra sull’Isola della Ginestra. Ci racconta cosa succede?
«La benestante famiglia Reffi (padre e due figli) per diverse ragioni, che emergeranno, si isolano in una signorile villa al centro di un’isola. Due ladri, un ragazzo e una ragazza, in fuga da non si sa cosa, ma lo si scoprirà, arriveranno sull’isola (per caso? Coscientemente? ). E scoppierà la bolla in cui si sono rinchiusi i Reffi. Si creeranno nuove geometrie. Ma, soprattutto, emergerà che quella bolla, in realtà, era già scoppiata».
Possiamo ricavarne una morale da questa storia?
«La domanda intorno a cui ruota l’opera è: “Si può cambiare? Si può diventare diversi da come si è? ”. Ha ragione Celestino Reffi quando dice a Beatrice: “Lei non è una ladra, lei ruba. ” O ha ragione Beatrice?: “Io sono una ladra e lei è un illuso”».
Che stile cinematografico affascina Elisabetta Sgarbi?
«Sono un’ammiratrice compulsiva. Ho un Pantheon affollatissimo».
Lei è autrice di dodici documentari, di sei lungometraggi e di quattro corti. È corretto? Ecco, quando decise di stare dietro una cinepresa? E perché?
«Qualcuno di più. Ho iniziato a desiderare il cinema grazie a Enrico Ghezzi. Lui mi ha mostrato un’altra idea di cinema e pure altri registi, alcuni dei quali, dal’95 a oggi, hanno fatto la storia».
C’è un altro progetto filmico nei suoi pensieri?
«Mi piacerebbe continuare a lavorare con e su Scerbanenco».
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