Tra gli indios del Chapas e i sopravvissuti a Nagasaki: il cammino di don Pierluigi Di Piazza
Un volume ripercorre i viaggi nei Paesi dell’America Latina, in Giappone e nel Sud Italia per conoscere da vicino le condizioni di vita dei popoli oppressi e in grandi difficoltà

Mio fratello Pierluigi ha intrapreso in alcune estati dei viaggi nei paesi dell’America Latina, in Giappone a Hiroshima e Nagasaki per il 60° anniversario delle tragedie delle bombe atomiche, in due regioni del Sud Italia (Sicilia e Puglia), per conoscere da vicino le condizioni di vita dei popoli che avrebbe incontrato e per visitare alcuni luoghi da Lui ritenuti punti di riferimento e di luce per la sua vita (la tomba del vescovo Oscar Romero, di padre Rutilio Grande, del vescovo Tonino Bello).
Ad ogni rientro era sempre molto contento, si sentiva profondamente arricchito nella sua interiorità ed umanità, nel poter guardare il “nostro” mondo anche con gli occhi degli impoveriti della terra con cui si era confrontato e da cui aveva potuto cogliere resistenze, progettualità, speranze.
E aveva acquisito la convinzione incontrando queste comunità, in particolare quelle dell’America Latina che il più delle volte vivevano oppresse, con grandi sofferenze, in povertà assoluta e senza diritti, che principalmente i poveri sanno guardare avanti con fiducia, fermi nella speranza di poter lottare per la giustizia, con quella “resilienza” che li contraddistingue e li fa vivere comunque sereni e mai rassegnati.
Rappresentanti di alcune comunità, vescovi rappresentativi dell’America Latina, Suzuko Numata rappresentante e testimone delle vittime delle bombe atomiche, sono stati poi da lui invitati come relatori e testimoni ai Convegni internazionali che il Centro Balducci ha organizzato da sempre nel mese di settembre. Profondo ed attento alle relazioni com’era, Pierluigi ha intervistato alcuni religiosi, vescovi, il teologo Jon Sobrino, per ricevere ulteriori sollecitazioni e testimonianze.
Tra le interviste più importanti, quelle al vescovo profeta e pastore degli indios Samuel Ruiz del Chiapas, al teologo gesuita Jon Sobrino, a padre Ezio Roattino e padre Antonio Bonanomi.
In America Latina, la memoria dei martiri comunica luce, forza, vita: l’esemplarità di Gesù di Nazareth continua nella loro vita, che essi hanno offerto per la liberazione di molti. Senza la disponibilità consapevole al dono, alla gratuità, non ci potrà essere salvezza né per noi, né per il mondo.
C’è una speranza per questa prospettiva? Quando Pierluigi in un’intervista al teologo Jon Sobrino gli ha rivolto questa domanda, gli ha risposto riferendosi all’esperienza concreta, esistenziale, storica, ecclesiale della gente del Salvador: “Fin quando c’è l’amore c’è anche la speranza, proprio perché l’amore è presenza, attenzione, coinvolgimento, sguardo al futuro, progetto.
E poi fin quando la gente si trova, si accoglie reciprocamente, condivide poco cibo, qualche tortillia di mais, un po’ di caffè, un po’ di musica, ci sarà sempre la speranza che si nutre dell’accoglienza, della condivisione, del sostegno reciproco. È dove regnano indifferenza ed egoismo che muore la speranza”.
Riguardo in particolare ai viaggi in America Latina, così scrive Pierluigi: “Fin all’estate 1997, pure sognando e desiderandolo, non mi ero avventurato nel viaggio oltre l’Oceano, in America Latina. Poi, conoscenza di persone, sollecitazione e coincidenza di situazioni hanno favorito la partenza e l’incontro con l’altro là dove egli vive.
Nessun atteggiamento turistico, anzi, una preoccupazione preventiva e poi vigile per escluderne qualsiasi aspetto. Una sincera e concreta disponibilità al silenzio, all’ascolto, ad uno sguardo non superficiale, alla percezione di persone, comunità, spiritualità, cultura, organizzazione di vita.
In queste pagine alcuni vissuti che si sono depositati in me in modo profondo , significativo. Vado per stare in silenzio, per osservare con l’intelligenza del cuore, per ascoltare, apprendere, confrontare, per poi favorire con maggior consapevolezza occasioni di incontro, di scambio, di cooperazione.
E poi alcune immagini riprese non tanto con l’abilità del fotografo, quanto con l’intensità della relazione”.
E quando è stato in Giappone non ha potuto non pensare anche al Friuli: “A Hiroshima e Nagasaki ho pensato spesso alla base Usaf di Aviano, alle sue armi, ai cacciabombardieri, alle 50 atomiche; e più che mai l'ho considerata un assurdo, a cominciare proprio dalla non considerazione, quindi dall'offesa alle vittime dell'atomica, ai sopravvissuti che continuano la loro sofferenza.
Come mai tanto silenzio, tanta acquiescenza, tanta noncuranza da parte della società, della cultura, della politica, delle religioni? Come mai ci si continua a comportare e a parlare come se Aviano non ci fosse? E' importante rispondere personalmente e insieme a questo interrogativo”.
Sono felice che ora venga pubblicato un libro con la narrazione di tutti questi viaggi, perché riconosciamo in quel narrare la genuinità di una vita donata a poveri ed emarginati, e l’immensità di un “cuore piccolo” capace di universalità, di farsi casa per tutti. Questa è stata la sua vita, ricca di fede e spiritualità, di tante relazioni di profonda umanità che sono riuscite a trasmettere coraggio, fiducia, speranze.
Al lettore auguro un buon viaggio tra queste pagine, nella speranza che in esse possa “incontrare” Pierluigi, ciò in cui, in modo genuino e appassionato ha creduto, ciò che ha vissuto e annunciato con la vita.
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