Tosini: «Il Messico invidia il nostro cinema»

L’avvincente storia del giovane nobiluomo di Cordovado, una vita spericolata a restaurare film fra America Latina e Usa

PORDENONE. Stranezze curiose: «In Messico adorano il cinema italiano contemporaneo». Non tutto è godibile, per dire, ma c’è di che saziarsi, volendo. Siamo risaliti dai bassifondi, piazzandoci benino, dai, nonostante i delatori infaticabili pronti a distruggere di default il made in Italy.

Ovvio, i Cinquanta/Sessanta restano l’era delle genialità, però basta guardare avanti ed evitare di girare la testa verso il passato. Ancora: «I democratici sudditi politici di Enrique Peña Nieto per la cultura il denaro lo scuciono, mica come qui».

Ti si apre un mondo semisconosciuto ascoltando Paolo Tosini, nobiluomo giramondo con solidissime radici nelle terre di Cordovado, si scende fino al 1475, di professione restauratore di pellicole antiche e direttore di Cineteche.

Con Le Giornate è un tutt’uno, dice, «che non vuole e non deve smettere. Arrivai qui a diciannove anni con la curiosità di chi ha un profondo rispetto per le origini. Primi passi, piccole collaborazioni, poi la folgorazione: e m’iscrivo al Dams di Gorizia, indirizzo restauro filmico, appunto».

Accade di fughe impetuose, non sempre con la determinazione di abbandonare il suolo italico perché lo si trova scomodo, magari i nostri cervelli sono calamitati da opportunità migliori. E così Tosini salta su un aereo a raggiunge Città del Messico. Dirigerà la Cineteca nazionale.

«C’era - e andiamo indietro di qualche anno - la necessità di ridare luce a un passato sommerso. Inaspettatamente, dopo poco, mi sono ritrovato al fianco una trentina di colleghi attaccati dallo stesso virus. E ne è venuto fuori un prolifico quinquennio. Anche se non è una metropoli tranquilla, si spara volentieri».

Tosini, che ora si è messo sulle tracce di nuove avventure americane, si è portato in valigia una tesoretto da distribuire al festival: El Automóvil Gris, pellicola del 1917 con una frizzante vita postuma. L’antiquariato, indipendentemente dal marchio d’origine, compare di solito in qualche rassegna per poi riprendere, mesto, la via della cantina.

«Non sarebbe corretto incasellare i messicani sotto la effe di fantasy, non è nel loro dna inventarsi le storie, da sempre È la cronaca a stimolarli, ovviamente annacquata e corretta per far sì che possa dare spettacolo».

Stringiamo l’obiettivo sull’opera che Le Giornate mostrerà in tre round - martedì alle 22.45, giovedì alle 11.45 e sabato alle 17 - «come allora - precisa Tosini - in quanto apparteneva alla categoria serial. Sei ore (a noi sono rimaste tre) per raccontare la ferocia e la caparbietà di una banda di ladri, realmente esistiti, che per anni misero a ferro e fuoco il Paese. Non fu happy end. Finirono tutti davanti al plotone d’esecuzione. E quella è l’unica scena vera del film. Il regista, in qualche modo, riuscì a imposessarsene e la sfruttò nel migliore e nel più tragico dei modi».

La tecnica, ormai, rimargina le ferite più profonde delle pellicole d’inizio Novecento. E in molti laboratori, anche in nazioni insospettabili, come la Colombia o Santo Domingo, si ridà splendore a lungometraggi inservibili.

«Pensi - svela - che in una sala operatoria americana giace la serie completa di James Bond: vedremo un Sean Connery appena uscito dall’estetista».

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