Ted Neeley: «Interpretare Gesú ha accresciuto la mia spiritualità»

TRIESTE. Farà brivido vederlo sul palcoscenico. Chi nei Settanta il film non se lo perse proprio, be’, sentirà sulla schiena una scossa ad ascoltare live la voce di Ted Neeley. Jesus Christ Superstar...

TRIESTE. Farà brivido vederlo sul palcoscenico. Chi nei Settanta il film non se lo perse proprio, be’, sentirà sulla schiena una scossa ad ascoltare live la voce di Ted Neeley. Jesus Christ Superstar è ancora un musical, continua a esserlo finché orde di popolo riempiranno le platee. Il dove e quando è presto detto. Al Rossetti di Trieste, da stasera fino a domenica, nel nuovo allestimento di Massimo Romeo Piparo, comparirà the original Ted, un come back per onorare i vent’anni dalla prima messinscena italiana.

Per dirla tutta, Neeley non è un uomo loquace.

- Cosa pensò quando fu certo di avere in tasca il ruolo di Gesù?

«Molto sorpreso. C’era una lunghissima fila per diventare il figlio di Dio. Non so cosa convinse Norman Jewison a scegliermi».

- È cambiato qualcosa nella sua religione dopo il musical?

«Ha aumentato la profondità della mia spiritualità, infinitamente».

- Che sapore ha questo ritorno?

«Un’esperienza fantastica. E vorrei non finisse mai».

- Cosa ha fatto dal 1981 al 2014, ovvero nel periodo fra le sue ultime apparizioni in tv e al cinema con Tarantino?

«Avendo ricoperto ruoli decisivi nelle quattro rock opera fondamentali della storia - Tommy, Jesus Christ, Sgt Lonely Hearts Club Band of Pepper e Hair - mi ha dato la possibilità di continuare a fare il mio mestiere».

La versione italiana in lingua originale firmata da Massimo Romeo Piparo, autore e regista dallo stile innovativo, compie 20 anni e vanta ormai numerosi record e grandi numeri.

«E così, con la stessa emozione del primo giorno di repliche in quel lontano 1994 - spiega il regista – ogni sera si rinnova il magico rito che ci restituisce l’idea di un mito eterno. Il suo confronto con la stessa ragione di essere: da un lato il popolo, dall’altro chi lo governa. Tutti al contempo artefici e vittime di un tradimento commesso per amore da chi "vive per la morte" e il cui ruolo si compirà solo quando, abbandonata la veste istituzionale di custode di un sodalizio di vita, offrirà e procurerà per sé la morte. Un mito eterno per un popolo che ancora oggi non ha smesso di subire il proprio martirio ma ha visto moltiplicarsi la serie di martiri diretti o indiretti: si continua a morire perché altrove, in questa terra, è deciso così». )

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