Al Giovanni da Udine la terra desolata del poeta Eliot: «Una Bibbia della letteratura»

Giuseppe Bevilaqua è protagonista l’incontro per Casa Teatro sabato al Teatrone. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti

Gian Paolo Polesini
Giuseppe Bevilacqua, già direttore della prosa del Giovanni da Udine
Giuseppe Bevilacqua, già direttore della prosa del Giovanni da Udine

Teatro puro senza additivi né conservanti. Va vissuto e consumato così, in modo ravvicinato e in ascolto. Due voci, una musica e un grande testo: “La terra desolata” di T.S.Eliot. La proposta di Giuseppe Bevilacqua — per un decennio direttore della prosa del Giovanni da Udine e per quarant’anni autorevole docente dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico di Roma — «in qualche modo risale dal passato, ovvero dagli Ottanta quando lo presentai al Palamostre di Udine accudito dagli sguardi amichevoli di Leonardo Miani e di Mattia Chizzola. Tempi coraggiosi e favorevoli alla sperimentazione».

L’appuntamento è per sabato 1°novembre, alle 18 alla Casa Teatro del Giovanni da Udine. Con lo stesso Bevilacqua, Francesco Sferrazza Papa e Ludovica Borsatti alla fisarmonica. Progetto scenico di Mara Udina. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Prenotazione obbligatoria.

«In realtà lo portai in scena inizialmente a Perugia nella libreria inglese di una mia zia. Ero appena uscito dall’Accademia romana e gli innamoramenti a certe unicità teatrali erano facili».

Approfittiamo di lei per sviscerare il significato di una prosa cardine degli anni Venti del Novecento.

«È un testo molto discusso, considerato una specie di Bibbia della letteratura. Al tempo Eliot era giovane, nacque nel 1888, e cominciò a comporre il poemetto subito dopo la prima guerra mondiale. Diciamo che la ragione guida è inseguire la visione delle macerie della battaglia, una sorta di “correlato oggettivo”, così lo definì l’autore, ovvero un’immagine che sta per un’emozione e un pensiero. E in ciò si percepisce il senso del cinema e della fotografia: l’esaltazione della visione. La struttura è composta da immagini, per l’appunto, divisa in cinque parti nelle quali Eliot, attraverso le rovine, contrappone il glorioso passato della tradizione, le ricchezze di Dante, di Virgilio e della filosofia perenne all’aridità del suo contemporaneo».

E sarete in tre in scena. Perdoni lo stacco improvviso dalla riflessione alla sostanza di palcoscenico.

«Ne approfitto per dichiarare il mio fresco pensionamento, lascio l’Accademia e proprio per questo ho deciso di regalare ad allievi meritevoli opportunità importanti. Nel caso mi riferisco a Sferrazza Papa, che si è diplomato un paio di lustri fa. Proporremo dei piccoli dialoghi sostenuti da una melodia di jazz classico e, come dicevo, rappresentazioni fotografiche che scorrono su due schermi. Vorrei avvertire i naviganti: il testo è impegnativo. Lasciatevi trasportare dai sensi. Lo diceva anche Eliot».

Quarantacinque anni dopo ancora “La terra desolata”. C’è una ragione dietro la scelta?

«Semplicemente trasmettere la mia esperienza attoriale a giovani promettenti. Questo lo considero un “pezzo mio” e adoro viverlo con loro in una sorta di intrattenimento intelligente, il teatro lo è. Un giocattolo meraviglioso che deve durare il giusto per dare piacere. Detesto gli spettacoli lunghi».

Cosa spera che gli spettatori si portino a casa dalla “Terra desolata”, Bevilacqua?

«La voglia d’indagare la realtà e di viverla senza sfociare nel lugubre pessimismo, individuando delle forme di sollevamento dell’anima. Oggi tutto è piagnisteo, la scontentezza è dominante. Fateci caso: ciò avviene sempre dove tutto funziona. Nei luoghi della precarietà qualche sorriso vien fuori, mi creda. A Roma c’è via “Mejo de niente” una strada dove lei vedrà gente anche incazzata, ma normalmente contenta perché non deve preoccuparsi che tutto fili. Va come deve andare». 

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