Maurizio Ferraris e il futuro digitale: «La pelle è il confine dell’individualità»

Il docente di Filosofia teoretica ospite sabato del Festival Mimesis a Udine: «Il dolore non si copia, il dubbio non si calcola»

Fabiana Dallavalle
Maurizio Ferraris , docente di Filosofia teoretica nell’Università di Torino
Maurizio Ferraris , docente di Filosofia teoretica nell’Università di Torino

La pelle. Dall’intelligenza artificiale alla ragione: se ne parlerà oggi i, alle 18.30, a Udine, a Casa Cavazzini, protagonista dell’incontro progettato dal Festival Mimesis, sarà Maurizio Ferraris, docente di Filosofia teoretica nell’Università di Torino, dove è presidente del Laboratorio di Ontologia e dell’istituto di studi avanzati “Scienza Nuova”.

Professore, cosa resta dell’umano quando viene meno il corpo? Quando la carne, la pelle, il sangue smettono di essere il contesto indispensabile del pensiero?

«Quando viene meno il corpo dell’umano non resta niente, anche per coloro che credono nell’anima. La resurrezione cristiana, per esempio, è resurrezione dei corpi, perché l’anima, senza il corpo, non esiste. Di questo dobbiamo preoccuparci perché tutti moriremo, ma non dobbiamo preoccuparci che l’artificiale sia uguale al naturale. L’artificiale può surrogare il naturale, per esempio sul lavoro (si pensi ai recenti licenziamenti ad Amazon dovuti alla crescente adozione di intelligenza artificiale) ma non è pensiero. È un grande archivio in cui sono deposte le registrazioni delle forme di vita umana (per esempio questa nostra intervista), ma che riceve senso e fine, diventando pensiero, proprio dal corpo, dai suoi bisogni, da ciò che vale per lui e non per la macchina. Il dolore non si copia, il dubbio non si calcola. E se l’uomo non sente come potrebbe mettersi nei panni di un altro? Siamo destinati ad un mondo in cui emozioni e sentimenti non avranno nessun valore comunicativo? Per quello che ho detto, ciò non accadrà mai».

Lei ha spesso sostenuto l’importanza della documentalità – cioè il fatto che siamo “esseri di tracce”. In che modo il digitale ridefinisce la nozione di traccia, memoria, autenticità nella vita quotidiana?

«Il digitale non ridefinisce la nozione di traccia, che è stata costitutiva dell’umano sin dall’inizio del mondo (la cultura è traccia, sedimentazione, storia, e prima di tutto scrittura), semplicemente la moltiplica e la fa crescere in modo esponenziale, perché con il digitale la produzione di tracce diviene ubiqua, automatica e involontaria, dunque sconfinata. Nasce così, un nuovo capitale, il capitale digitale, composto da questo archivio che non ha precedenti nella storia. Un capitale invisibile, nuovo ricco, rinnovabile e soprattutto equo, nel senso che per produrlo non è necessario essere intelligenti, belli o laboriosi – e spesso noi umani non tocchiamo questi standard di eccellenza, il che diviene un problema soprattutto adesso, quando il lavoro come produzione diviene un bene sempre più raro, e la maggior parte dell’umanità ne resta esclusa».

La pelle è il limite inattingibile?

«Sì, il “noli me tangere”, “non toccarmi” di Cristo a Maddalena indicano proprio il fatto che la pelle, che racchiude il corpo, è anche il confine della nostra individualità. Che ovviamente può essere superato, nell’amore e nell’odio, come sappiamo».

Al momento alcuni uomini, i più ricchi del Pianeta hanno in mano le tecnologie digitali. Lei ha parlato anche di Comunismo digitale. E’ questa la via per una maggiore uguaglianza?

«Sì. Tutta l’umanità produce valore attraverso il proprio consumo e la propria mobilitazione sul web, ma solo i due grandi imperi, quello calante e quello nascente, Usa e Cina, ne traggono vantaggio. Se il resto del mondo non sarà capace di una capitalizzazione alternativa, quella che appunto propongo attraverso il comunismo digitale (usare i dati anche per noi e non solo per il liberalismo americano o il bolscevismo cinese), si confermeranno le trasformazioni in corso, per esempio il fatto che l’Europa è entrata a far parte del sud del mondo, come dimostra il fatto che anche da noi è tornata la guerra. Questa è la cattiva notizia. La buona è che questa capitalizzazione alternativa è possibile, non è solo, per esempio, il mio libro Comunismo digitale uscito ora da Einaudi, ma il progetto Welfare che sto svolgendo con Università e Politecnico a Torino. Quanto dire che l’alternativa esiste, e dipende solo da noi». 

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