Spirito di pace, Celiberti torna a Terezin

Giovedì 1 febbraio all’ambasciata italiana di Praga si inaugura la mostra. L’artista friulano nei luoghi che hanno ispirato il suo percorso artistico
Martina Delpiccolo

UDINE. Non hanno mai smesso di volare le farfalle nel campo di concentramento di Terezin. Volano nei disegni dei bambini che vi hanno trovato la prigionia e in molti casi la morte, volano tra i versi del poeta ebreo Pavel Friedmann, scritti prima di essere trasferito da Terezin ad Auschwitz, dove fu ucciso. Volano nelle opere di Giorgio Celiberti, da quando visitò il lager nel lontano 1965 e la sua arte divenne impegno morale.

Il maestro Celiberti torna, dopo quasi 60 anni, nei luoghi che hanno agito profondamente e dolorosamente su di lui, segnando un prima e un dopo nel suo percorso artistico. Torna con “Spirito di Pace. Esence Miru. Spirit of Peace”, un’esposizione pittorica all’Istituto di cultura italiana di Praga, che viene inaugurata giovedì 1 febbraio, visitabile fino al 29 febbraio, patrocinata dal Parlamento europeo, dall’Ambasciata italiana a Praga e dall’Istituto di cultura italiana, sotto la guida del curatore Mario Da Re e della critica Lorena Gava.

Una mostra dedicata «a tutti i bambini, vittime innocenti, che nella storia hanno visto svanire il loro futuro».

Il pensiero va ai piccoli ebrei rinchiusi per mano nazista nel campo di Terezin, a pochi chilometri dalla capitale ceca, ma si allarga a tutta l’infanzia violata, derubata dei sogni e del domani.

L’intento del maestro è «tenere in un unico abbraccio tutti i bambini che anche oggi, in Israele, a Gaza, in Ucraina, e in tante altre parti del mondo, sono travolti dalla guerra e dal terrorismo».

Era stata proprio una visita a Terezin nel ‘65 a cambiare radicalmente l’arte di Celiberti, che da allora sarebbe stata vissuta come memoria e testimonianza, mutuando linguaggio attraverso i segni lasciati sulle carte e sulle pareti da quei bambini destinati al genocidio.

Da allora, lo spessore morale del suo messaggio non è mai venuto meno, con una continua meditazione sul dolore nella storia e sulla speranza della pace.

Non c’è occasione in cui il maestro non porti questi valori nelle sue opere, che diventano monito, veicolato dalla bellezza e dall’universalità del linguaggio dell’arte. Dopo la Biennale di Venezia ed il Senato della Repubblica, anche il Parlamento Europeo, grazie ai deputati Martina Dlabajová e Giannantonio Da Re, in collaborazione con l’ambasciatore Mauro Marsili, celebra nell’Istituto italiano di Cultura a Praga i 75 anni di vita artistica del maestro friulano.

Un percorso che prende le mosse soprattutto da quella terra: dal cimitero ebraico e in particolare dalla fortezza di Terezin, dove la mostra sarà successivamente riallestita per marzo e aprile.

Celiberti tornerà nel luogo che ha generato i suoi “segni”, le lettere T, Z, N, riferite a Terezin, le X, con le quali le vittime conteggiavano i giorni di prigionia, e poi i cuori e le farfalle, simboli della gioia fanciullesca, portatrici di speranza, che nelle opere del maestro volano nell’intensità dei colori e della vita.

Il poeta Friedmann salva nei suoi versi l’ultima farfalla: «L’ultima, proprio l’ultima, / di un giallo così intenso, così / assolutamente giallo, / come una lacrima di sole … // Volava in alto leggera, / aleggiava sicura per baciare il suo ultimo mondo. //… Fu l’ultima: / le farfalle non vivono nel ghetto».

Nel campo di Terezin, raccontato in un film di Gabriele Guidi, uscito proprio per la Giornata della Memoria, vennero rinchiusi i maggiori intellettuali ebrei mitteleuropei: artisti, scrittori, musicisti. E con essi tanti bambini, bambine, ragazzi e ragazze che disegnarono e scrissero ciò che stavano vivendo.

Leggiamo in una poesia di Hanus Hachenburg, rinchiuso a Terezin prima di finire nelle camere a gas di Auschwitz a soli 14 anni: «Sono stato bambino tre anni fa. / Allora sognavo altri mondi. / Ora non sono più un bambino, / ho visto gli incendi / e troppo presto sono diventato grande. / Ho conosciuto la paura, / le parole di sangue, i giorni assassinati: / dov’è il Babau di un tempo? / Ma forse questo non è che un sogno / e io ritornerò laggiù con la mia infanzia». Il giovanissimo poeta ceco di origine ebraica parla del suo tempo o forse anche del nostro?

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