Sir Antonio Pappano celebra Leonard Bernstein: «Musicista rinascimentale»

Il celebre direttore d’orchestra al Nuovo di Udine: «È stato una grande fonte di ispirazione per tutti noi»
Alex Pessotto

L’ultima volta in Friuli Venezia Giulia era stata al Verdi di Pordenone il 26 novembre dello scorso anno con Beatrice Rana al pianoforte. Domani, invece, Sir Antonio Pappano sarà alle 20.30 al teatro Nuovo Giovanni da Udine e potrà contare su un altro pianista: Bertrand Chamayou. L’evento sarà preceduto alle 18.30 da una conferenza ad hoc. Direttore tra i più amati a livello internazionale, sarà sul podio della Chamber Orchestra of Europe, proprio come a Pordenone, in quella che è l’unica data per il Nord Est di una tournée che si chiuderà alla Philharmonie di Parigi.

Maestro, può presentare il concerto di domani?

«Il programma è particolare e curioso, interessante e anche divertente. Il primo e l’ultimo brano sono balletti. La Création du monde è ispirato dalle improvvisazioni scatenate, dall'euforia strumentale che Milhaud aveva conosciuto ad Harlem e ogni sua pagina successiva tiene conto di questa esperienza. Poi, si resta in Francia con il Concerto di Ravel che, specie nel primo movimento, fa uso del canto lussurioso e bluesy tipico del jazz, con un ritmo ben in evidenza e adatto per un’orchestra da camera come del resto per il lavoro di Milhaud. Si prosegue con le Variazioni su “I got Rhytm” di Gershwin e si finisce con “Fancy free” di Bernstein che racconta come, in anni di guerra, tre marinai rimangono liberi per 24 ore e decidono di cercare un “good time”. Si trovano in un bar, ma le ragazze sono solo due. Si sentono echi di Stravinsky, ma il pezzo è stato anche influenzato dalle Big Band americane, dal loro suono».

In tutte le opere della serata c’è il pianoforte.

«Sì, nel caso di Ravel e Gershwin si tratta di piccoli concerti, negli altri due casi il piano fa parte dell’organico. Un altro filo conduttore, però, è Leonard Bernstein: per esempio, ha registrato il brano di Milhaud credo tre volte, trovandolo un punto d’incontro tra la cultura musicale americana e quella europea. Poi, suonava da solista e dirigeva il Concerto di Ravel. Ma tutto il programma ha una spontaneità americana. Io ho vissuto in America e ogni tanto ho bisogno di cimentarmi con la sua musica. Ma, soprattutto, è determinante che questo passaggio lo faccia la Chamber Orchestra of Europe che in genere si dedica a un repertorio più tradizionale».

Chi era Bernstein per lei?

«Un musicista quasi rinascimentale, nel senso che la sua era una figura completa: pianista, direttore, compositore, didatta e divulgatore unico. Ed è stato un personaggio che ha conosciuto tutti i grandi della Terra, non solo i musicisti: è stato un cosmopolita, ma pure una figura culturalmente importante, un simbolo delle possibilità americane: è stata una grande fonte di ispirazione per tutti i direttori, in tutti i repertori che lui ha toccato: è sufficiente ricordare ciò che ha fatto per Mahler».

Lei ora è direttore emerito dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Ha nostalgia per gli anni in cui è stato direttore musicale stabile?

«No, perché alcune esperienze che abbiamo vissuto assieme rimangono indimenticabili. Tra le ultime c'è quella al Festival di Pasqua di Salisburgo, dove abbiamo interpretato Gioconda e pagine di musica italiana. Un’orchestra ha bisogno di personaggi e a Santa Cecilia di personaggi ce ne sono eccome. E la loro vitalità, la loro sorprendente grinta ha costituito un’ispirazione incredibile. Assieme, siamo stati dappertutto: dalla Carnegie Hall al Musikverein, in Russia e Scandinavia, più volte a Salisburgo. La nostra è stata una crescita reciproca. Per l’Italia siamo stati veri e propri ambasciatori».

A Salisburgo, qualche mese fa, ha eseguito anche “Juventus” di Victor de Sabata e nel suo libro appena uscito per Marsilio (La mia vita in musica, 320 pagine, 20 euro) cita anche un altro triestino: Antonio Bibalo.

«Era un uomo di grande calore e simpatia. Da anni viveva in Norvegia, quando nel ’90 mi sono trovato a dirigere la sua opera “Macbeth” che per ha rappresentato una delle esperienze più formative. Nell’occasione, ho lavorato con il regista tedesco Willy Decker».

E de Sabata per lei cosa rappresenta?

«Con Toscanini è stato uno dei più importanti direttori italiani della storia, con una grande conoscenza e un notevole interesse per ogni periodo musicale. È celebre la sua Tosca con la Callas, Di Stefano e Gobbi, ma basta sentire le sue incisioni con la New York Philharmonic e con i Berliner per capire il suo genio».

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