Lignano Noir, Pinguino Bova indaga nelle Lande: «Un luogo per personaggi eccentrici»
L'autore Orso Tosco sarà ospite della rassegna lignanese venerdì 18 luglio

Orso Tosco pare davvero uno pseudonimo, invece sta realmente scritto sulla carta d’identità di questo giovane poeta e scrittore ligure creatore di un commissario davvero alternativo che abita i suoi racconti: Gualtiero Bova.
I due recenti titoli Rizzoli in libreria sono “L’ultimo pinguino delle Langhe” (Premio Scerbanenco 2024) e “La controra del Barolo”. «Credo che la grandezza del giallista stia aumentando col tempo, perché Giorgio Scerbanenco andò ben oltre i canoni che lui ben conosceva, dove altri non ci riuscirono», spiega Torso.
“Lignano Noir”, rassegna piuttosto corposa quest’anno, accoglie gli autori più acclamati nel nuovo “cubo della cultura” fra gli stabilimenti 6 e 7 di Sabbiadoro.
Torso sarà bersagliato venerdì 18 luglio, alle 19, dalle domande di Cecilia Scerbanenco, la figlia del maestro.
Chissà quante volte l’avranno tormentata a proposito del suo non proprio diffuso nome di battesimo! Non vorrei pure io appartenere a quella schiera...
«Ma si figuri, ormai è un’abitudine. Comprendo che Orso non sia comune. In effetti ne porto a spasso due: l’altro è Jacopo. Da bambino i miei mi dicevano che avrei potuto scegliere. E non immaginando affatto lo scenario di quando avrei frequentato le scuole da adolescente, optai per quello strano».
E, quindi, in classe che accadde?
«Nulla di particolare, fioccavano le battute come si può ben immaginare. Impari da subito che la gente sopravvaluta il proprio senso dell’umorismo».
Mi sembra una persona piuttosto estroversa, tutt’altro che un orso… fortunatamente!
«Già, Orso di nome, ma non di fatto! C’è dell’altro se posso. Mia madre mi sganciò ‘sto regalo perché quando stavo per nascere lei era ricurva su di un libro con protagonista un tale Orso e mio padre, poco incline alle cose di chiesa, sposò subito la scelta in quanto confidava nella mancanza di un santo. Invece esiste: è Sant’Orso ed è pure importante in val d’Aosta».
Certi indiani d’America si chiamavano così...
«Appunto. Che poi io tenevo per loro da piccolo, mai per il settimo cavalleggeri».
Da ragazzino già scriveva?
«M’innamoravo degli scrittori e provavo a copiarli, ovviamente fallendo, ma era un modo per entrare nel meccanismo artigianale della faccenda. Cominciai così a comprendere i vari livelli di narrazione».
Si iscrisse a qualche scuola?
«Vinsi una borsa di studio per una “Bottega”, gestita da Carlo Lucarelli per la sceneggiatura. Il secondo passo fu pubblicare racconti su riviste on line passando quindi a Minimum Fax, poi a 66theand2nd e, infine, alla Rizzoli».
La possiamo considerare un giallista di recente formazione?
«Tre anni fa pubblicai “London Voodoo”, un caso di “hard boiled”, genere americano piuttosto duro e violento, istigato a dovere dal “collega” David Peace. C’era l’investigazione, certo, poi però decisi di confluire nella tradizione più amichevole supportato dall’atmosfera dei grandi nomi nostrani quali Fruttero&Lucentini, Mario Soldati e Piero Chiara, dotati di un fraseggio musicale bellissimo, ma assai complesso».
Arriviamo finalmente al Pinguino Bova.
«Intanto vorrei precisare che i miei libri sono popolati da figure eccentriche che ben si amalgamano con le Langhe, zone affascinanti e favorevoli ad accogliere personaggi atipici. Gualtiero è un commissario che arriva dal Ponente ligure come il sottoscritto, ma viene trasferito nel basso Piemonte perché i suoi superiori non lo vogliono tra i piedi. È un uomo poco conforme alle situazioni, indipendente, burbero e fragile, sarcastico, poliziotto per ribellione in quanto suo padre mai l’avrebbe voluto vedere in divisa. Bova sfoggia tecniche poco ortodosse e, una volta la settimana, assume una micro dose di Lsd. Ama Ava, da sette anni in coma, e il soprannome “pinguino” gli calza perfettamente perché il commissario, essendo appassionato di bagni invernali come me, per nuotare s’infila la muta che gli sta malissimo, in quanto lui è un ormone di due metri e con il fisico strutturato a pino. Da cui…».
La fantasia di certo non le manca…
«Grazie a Dio, no».
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