Simonit e Sirch: la natura ci ha educato ad avere pazienza

Premio Nonino, parlano i preparatori d’uva premiati sabato a Percoto. «Il tempo lento è alla base della buona riuscita del vino»

UDINE. «Sono cresciuto in una famiglia di contadini, i miei nonni materni lo erano e da piccolo ho vissuto intensamente una situazione legata a questo ambiente naturale. Credo che la mia passione per le piante sia venuta da lí. Ho imparato a rispettare le stagioni e ad avere le consapevolezza che non si possono ottenere risultati senza avere molta pazienza».

Per Marco Simonit, premio Risit d’Aur - Barbatella d’Oro 2016 assieme al socio Pierpaolo Sirch, entrambi preparatori d’uva, il tempo lento è alla base della buona riuscita di un vino di qualità. E la pazienza e il rispetto delle piante di vite sono le parole d'ordine del buon preparatore d’uva, assieme alla costante capacità di osservazione.

Il Nonino torna a premiare dopo tanto tempo il sapere tecnico, quella cultura materiale e manuale senza la quale si perderebbe un importante ponte con il passato, nel tentativo di inseguire la produzione a tutti i costi. Simonit&Sirch: due nomi, un marchio.

Sono appena rientrati dalla California, dove da un po’ di tempo lavorano con diverse aziende vinicole delle zone collinari di Santa Barbara e Santa Rita, «una zona piú fresca della Napa Valley, piú adatta alle uve Chardonnay», precisa Simonit.

Ormai viaggiano costantemente da un emisfero all’altro del globo, a preparare le piante prima dell’arrivo dell’inverno e la loro sapienza è oro per le aziende vitivinicole di tutto il mondo.

Sono infatti richiestissimi, dal Sudafrica, all’Argentina, dalla Francia alla Germania, passando per Spagna, Svizzera, Portogallo e sono tra l’altro consulenti di case famose come Château d'Yquem, Château La Tour, Moët&Chandon «e ora ci aspettano in Australia, dove sta per partire un progetto importante».

In tutto seguono 130 aziende, dove con il proprio team formano i viticultori, istruendoli sul loro “Metodo di potatura ramificata Simonit&Sirch”, il sistema che li ha resi famosi e che ha fatto sí che le piante di vite ritornassero a essere trattate come organismi viventi e non come “cose” da asservire in una cieca catena di montaggio per la produzione del vino.

«La potatura è lo strumento che il viticoltore ha per coltivare la vite. È cosí che si dà forma e dimensione nel tempo e nello spazio alla pianta. Ma potare significa tagliare, privare ogni anno la pianta di rami, con forbici o altri strumenti. E questo procura alla pianta delle ferite. E queste ferite portano all’interno della pianta una quantità di legno secco, legno morto, che ogni anno si accumula portando la pianta ad avere meno sostanze di riserva a cui poter attingere per la maturazione dei grappoli».

Una sorta di deriva deleteria in nome di una industrializzazione eccessiva, che porta le piante ad ammalarsi.

«Negli ultimi trent’anni c’è stato un eccesso di meccanizzazione e in questo sistema la pianta è diventata quasi un bonsai. Ma la vite non è un bonsai, ha bisogno di crescere nel tempo come qualsiasi essere vivente e, cosí come l’uomo, quando cresce non ha la stessa forma di quando è fanciullo».

Sembra l’uovo di Colombo, eppure tutti i viticultori del mondo se ne erano dimenticati, tant’è che ora Simonit&Sirch sono un’azienda strutturata con trenta persone che lavorano solo su questo, salvando viti e vini pregiati di tutto il mondo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:premio nonino

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto