Silvio Orlando nei Ciarlatani: «L’importanza del fallimento»

Alex Pessotto

Due personaggi di generazioni completamente diverse, entrambi appartenenti al mondo dello spettacolo, si trovano a un momento di svolta: devono decidere cosa fare del proprio futuro. Una ragazza di 26 anni e un uomo di 66 valutano se continuare nel percorso che stanno facendo oppure se modificarlo.

“In sostanza, è il confronto che ognuno di noi si trova a fare con il fallimento, inteso come grande arma propulsiva per fare realmente i conti con se stessi” dichiara Silvio Orlando: il protagonista di “Ciarlatani” è lui, mentre la ragazza è interpretata da Blu Yoshimi. La rappresentazione scritta e diretta da Pablo Remón approda oggi e domani al teatro Comunale Marlena Bonezzi di Monfalcone (alle 20.45) e giovedì al teatro Sociale di Gemona (alle 21). In scena saliranno anche Francesca Botti e Francesco Brandi.

«Il protagonista è un regista affermato, senza problemi di lavoro - continua Orlando -. Il suo, tuttavia, è un successo commerciale, non corrispondente alle qualità che ritiene di avere, a quello che ha dentro, alla sua anima, alle aspettative che aveva da ragazzo. La giovane donna, invece, sta cercando un proprio posto nel mondo attraverso il palcoscenico, ma poi si rende conto che questa sua scelta è dettata unicamente dal mantenere un filo affettivo con un padre assente che, a sua volta, faceva il regista e che muore durante la rappresentazione».

Orlando, a cosa fa riferimento il titolo dello spettacolo?

«Proprio alle buffonate, alle bugie che diciamo anche a noi stessi per poter andare avanti».

Lei in qualche momento della sua carriera si è confrontato con il concetto di fallimento?

«Credo che tutti, non solo io, non solo gli attori, prima o poi finiscano con il confrontarsi con questo concetto. In fondo, non sarei stato interessato a fare una satira sul mondo dello spettacolo, a mettere a nudo questo o quell’aspetto sulla vita degli artisti. Quel che conta, invece, è che i due protagonisti dello spettacolo sono fragili, in qualche modo dipendenti dal giudizio degli altri, dal successo che travolge tutti. Perché oggi tutti noi, anche tramite i Social, ci sentiamo un po’ piccole star, piccoli Vip, personaggi pubblici. Il successo è diventato quasi un obbligo sociale, ma non ci si può non confrontare con il tempo che passa, con il fisico che cambia, con il pubblico che si modifica. Qualche aggiustamento va quindi trovato».

Lei che risposte si è dato?

«Mi sono chiesto qualche volta se meritava fare le rinunce che ho fatto per svolgere nel miglior modo questo mestiere. Poi, però, vado avanti e allontano questa resa dei conti. Del resto, sarei pazzo se fossi insoddisfatto della mia attività, anche se, come in ogni professione, non tutto è piacevole».

Quando si è sentito maggiormente soddisfatto e quando in crisi?

«I momenti di più grande soddisfazione sono quelli degli esordi, quando senti che l’investimento che hai fatto su te stesso sta dando buoni frutti, quando avverti che valeva la pena affrontare così tante difficoltà. Penso allora al primo film da protagonista. Però, il nostro mestiere ha anche momenti critici: quello tra i cinquanta e i sessant’anni ha costituito per me un punto di passaggio non dei più facili». —

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