Sibille-Sizia, al fronte nel fango: la Prima guerra mondiale narrata da una donna scomoda

Il romanzo della scrittrice e giornalista tarcentina scomparsa nel 2009: pubblicato per la prima volta nel 1988, racconta la ritirata degli alpini e il dramma delle donne profughe nel 1917 friulano

Martina Delpiccolo
La copertina del libro di Bruna Sibille-Sizia e una delle immagini del romanzo
La copertina del libro di Bruna Sibille-Sizia e una delle immagini del romanzo

La voce di Bruna Sibille-Sizia, “carpita e sommersa”, è tornata a farsi sentire da qualche anno, attraverso una ricerca che restituisce alla scrittrice tarcentina il posto che le spetta nella letteratura del Friuli in lingua italiana. Ora, quella voce si può rileggere, grazie a un progetto editoriale che ripropone le sue opere. Dopo “La terra impossibile”, primo romanzo sull'occupazione cosacca in Friuli, torna nelle librerie Il fronte di fango (Gaspari Editore), pubblicato per la prima volta nel 1988, che racconta la ritirata degli alpini e il dramma delle donne profughe nel 1917 friulano. Tra gli alpini, c’è il padre Gerardo Sibille-Sizia, piemontese, tenente sul fronte italiano nel momento in cui si svolge la vicenda. Tra le profughe, c’è la madre Giovanna Totis, friulana.

Due sono i percorsi che si snodano e si intersecano tra le pagine: la Grande guerra e dunque la storia militare e umana del fronte italiano con il parallelo dramma dei civili in fuga, ma anche il grande amore ossia la storia dell’incontro e dell’innamoramento dei genitori della scrittrice, seppur rivisitata attraverso la finzione letteraria.

Bruna Sibille-Sizia aveva potuto assorbire i racconti orali del padre alpino, disporre del suo materiale: taccuino militare, appunti, documenti e fotografie. E aveva potuto attingere dalle testimonianze delle donne di famiglia, madre e nonna, profughe friulane della guerra a Ravenna.

È, nel complesso, un romanzo in movimento, che incede seguendo i passi degli alpini in ritirata e dei profughi civili in fuga. Un romanzo che marcia, trascina destini e dolori, intrecciando vita militare e sentimentale. Esperienze che scaturiscono da ragioni storiche, belliche, ma che diventano anche percorsi di formazione a contatto con la morte e allo stesso tempo con l’amore. I primi capitoli sono tuttavia fermi, in una staticità che è data dall’attesa, dall’angoscia, dall’incertezza, sotto la minaccia del nemico e la paralisi di ordini dall’alto o di iniziative italiane.

Il romanzo si apre a “quota 1885”, detta anche “Scalini”, a metà strada, in linea d’aria, tra Sella Nevea a sud e il Jof Fuart a nord. Bruna Sibille-Sizia ci porta in trincea, a poche ore dall’inizio della feroce offensiva austro tedesca, alla vigilia della disfatta di Caporetto, sul fronte italiano che, già nel titolo, è “di fango”. Allude alla «neve fangosa» calpestata dagli scarponi chiodati degli alpini in quota e poi alla terra di fango in cui si fa largo la ritirata e anche la fuga dei profughi. Piedi di alpini e di civili affondano realmente nel fango, che impregna indumenti e corpi.

Ma il titolo del romanzo sembra alludere anche al “sentirsi impantanati”, in attesa, in balia di una guerra pantano, che avvinghia vite, giovinezze e sogni. Grazie ai dettagli forniti dalla scrittrice, in un testo che pare quasi farsi visivo, è possibile disegnare il tragitto preciso compiuto dagli alpini, “molestati” dalla pioggia e dalla storia. Seguiamo l’ottava compagnia di Gerardo, il mescolarsi di reparti in una «colonna», una «fiumana di soldati» con scarponi distrutti e piedi sanguinanti e gonfi. La storia esistenziale di Gerardo confluisce come un corso d’acqua in quella di Giovanna, ragazza della Carnia che indossa gli scarpez, per poi ramificarsi parallela ad essa, affluenti di uno stesso fiume-romanzo. Non c’è guerra che possa impedire la nascita di un amore.

È dedicato al padre il libro, a Gerardo Sibille-Sizia, tenente sopravvissuto dal campo di Mauthausen, che visse poi una seconda prigionia nel secondo conflitto mondiale, colonnello catturato dai tedeschi l’8 settembre del 1943. Non farà in tempo a leggere “Il fronte di fango”, ultimato a Tarcento nell’ottobre del 1987, a settant’anni da Caporetto. Divenuto generale degli alpini, muore nel 1970. Alla figlia aveva affidato i diari di guerra e prigionia, manoscritti, in parte trascritti e dattiloscritti da lui stesso. Lo leggerà invece Giovanna Totis, la madre della scrittrice, che morirà un anno dopo la pubblicazione.

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