Robin Williams sul set stregato dal cjargnel

TOLMEZZO. Tutte le strade portano in Carnia. Sembra incredibile, ma spesso è così. Su questo mondo magico e misterioso ora ne sapremo di più grazie al film inchiesta di Dante Spinotti, di imminente uscita. Andrà ad alimentare un filone di storie e miti popolato da tanti personaggi, come Romano Martinis, fotografo di Ampezzo, classe 1941, che dal 1968 è un giramondo (con tanto Sudamerica) a caccia di immagini e curiosità, che poi lui racconta nelle notti limpide sotto i cieli della sua valle.
Una riguarda il divertente e onirico incontro con Robin Williams, l'attore americano morto tragicamente martedì, il capitano di tanti nostri sogni che ha deciso adesso di non salpare più. A questa vicenda accennava un articolo, pubblicato venerdì sul Messaggero Veneto, in cui l'attrice romana Anna Galiena narrava di un film girato in Scozia con Robin nel 1993, dove lei parlava addirittura in carnico. Aneddoto che gli amici di Martinis conoscono a memoria e sul quale restano come testimonianza alcune foto e uno splendido autografo di Williams a Romano in cui gli dice: «Make fun, not war». La frase riprende lo slogan pacifista e si potrebbe tradurre più o meno con «divertiti, non fare la guerra». Fu certo uno strano incontro quello tra America, Scozia e Carnia e andò così...
Si sa che la carriera di Robin comprende straordinari successi, ma anche clamorosi passi falsi. Uno fu quello architettato dal volonteroso regista Bill Forsyth che una ventina di anni fa mise in piedi una mega produzione per Le cinque vite di Hector (questo il titolo in italiano mentre in inglese era Being Human), in pratica cinque episodi sulla vana ricerca della felicità in un arco di 10 mila anni. Tutti ruoli interpretati da Williams come cavernicolo scozzese, schiavo romano, cavaliere medievale, nobiluomo portoghese del XVI secolo e manager americano di oggi. Film simpatico, ma strambo e poco robusto, che non valse i 20 milioni di dollari del costo avendo un cast stellare.
La Warner Bros prestò lo ritirò dal mercato anche per non rovinare la carriera di Robin, ormai segnata in quel periodo da ruoli più comici. L'attrice italiana sulla cresta dell'onda era la Galiena, cui spettò la parte della donna che faceva innamorare lo scozzese in cerca di felicità. Doveva venire da altri mondi e Forsyth, per questo motivo, volle farla parlare in carnico anziché in inglese antico. Carnico perché Anna Galiena, conoscendo Martinis, frequentava la nostra montagna e aveva imparato a esprimersi in “cjargnel”.
A quel punto anche il fotografo di Ampezzo venne arruolato nella troupe, come comparsa e consulente linguistico per tradurre alcune frasi (per le quali si fece aiutare da Giorgio Ferigo) e addirittura inventare lì per lì una filastrocca come canto magico quale ultimo addio a un giovane guerriero morto. Il testo era più o meno così: «Bec di ciuvite, gras di bilite, dint di lof, fuc di cros, cos di fen, giava velen, velen di crot, a miegia not». La nenia attirò l'attenzione di Robin, che sul set era incontrollabile. «Inventava e improvvisava di continuo - ricorda Martinis - per divertirsi e divertire la troupe. Secondo me, lo faceva per pura generosità, per migliorare il film e far stare bene la gente.
Avevo in quei tempi il vezzo di dire: dura la vita dei guitti. Lui volle capire il significato, cosa in italiano si intende per guitto. E divenne il nostro saluto abituale. Così abbiamo raggiunto quel grado che un po’ accomuna tutti i guitti parlando di storie, di teatro... Anche le scene improvvisate, che mandavano in bestia regista e produttori, erano esercizi di recitazione e allenamento. Io nel film faccio la comparsa nei panni di un traghettatore primitivo che conduce lo scozzese al villaggio dove parlano carnico. Furono due settimane allegre, sotto una pioggia infinita. Fra Scozia e Carnia nessuna differenza. Ma poi il film non è stato quasi distribuito. Io l'ho visto per caso in Sudamerica».
Nello zaino di Martinis, una sorta di moderno fotografo “cramar”, curioso e inquieto, ci sono mille altre storie, come in tempi recenti i 18 viaggi in Afghanistan: una vita da romanzo, poco conosciuta dalle nostre parti. Ed è un peccato. Va almeno citato un importante appuntamento nel 2015, quando in aprile ricorreranno i cent'anni della nascita di Tadeusz Kantor, uno dei grandi nel teatro del Novecento. Martinis lo conobbe a Roma negli anni Settanta realizzando quello che Charles-Henry Favrod ha definito il più eccezionale reportage sul teatro. Immagini bellissime che fanno parte di una mostra permanente in Polonia. Mai approdate in Friuli, dove pure c'è il Mittelfest. Se arrivassero, sarebbe l'ennesima conferma che prima o dopo tutte le strade passano per la Carnia.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto