Raykin: «Il teatro è la nostra salvezza contro questi tempi di rabbia e malanimo»

MARIO BRANDOLIN
L’orso russo, (non sovietico, si badi bene!)in questi giorni a Pordenone ha il volto, l’energia, l’allegrezza e la forza di Konstantin Raykin, uno dei più grandi e applauditi teatranti russi contemporanei.
Figlio del celebre trasformista e comico Arkady, Kostantin è attore e regista, e direttore del popolare Teatro Satirikon di Mosca. E visto che ancora da noi in Italia non è molto conosciuto, bene ha fatto L’Arlecchino errante, il festival settembrino della scuola sperimentale dell’Attore di Pordenone a dedicargli un focus, con incontri, conferenze e un suo spettacolo, “Medico per forza” da Molière in una versione molto originale per soli tre attori. Oggi in Municipio a Pordenone gli sarà consegnato il Sigillo della città e alle 20.30, nell’ex convento di San Francesco terrà la conferenza “Il teatro è la salvezza”, mentre domani al Palamostre di Udine alle 21 ci sarà la replica de “Il Medico per forza”; il 2 ottobre, infine, alle 20.30 a Cinemazero, dopo la consegna della Stella dell’Arlecchino Errante, la proiezione del suo film musicale “Truffaldino da Bergamo” da “Il servitore di due padroni” di Goldoni.
Dopo una carriera scolastica dedicata alla biologia, Raykin decide di dedicarsi al teatro, come mai?
«I miei erano attori: ero un bambino teatrale. Ma nessuno me l’ha imposto. Sono passato dalla biologia al teatro perché all’improvviso ho capito che facevo biologia per umanesimo, come un artista e non come un tecnico».
Quali i suoi maestri?
«Chi mi ha influenzato di più, dal punto di vista del pensiero sul teatro, il suo senso e la sua pratica, è Vakhtangov. Sento grandissima l’influenza di Marcel Marceau e di Charlie Chaplin».
Lei oggi terrà una conversazione dal titolo "Il teatro è la salvezza": In che senso salvezza?
«Il Teatro è la salvezza nel senso molto ampio: per quelli che ci vanno come spettatori, è la salvezza dall’immoralità, dalla noia, e più precisamente dalla disperazione (in senso biblico, il peccato di non avere fiducia, l’accidia). È la salvezza dallo stato di antagonismo, dall’essere contro per indole, dalla rabbia, dal malanimo, e soprattutto dall’indifferenza verso la vita e verso le domande morali. Per quelli che lo fanno e lo creano in modo professionale è salvezza perché è un modo di conoscere e capire la vita, un modo di andarsene dalla assurdità e dal non senso. Quelli che lavorano nel teatro regalano qualcosa agli spettatori. E fare regali è la salvezza. È più dolce e insieme più piccante che riceverli, i regali».
Nello spettacolo “Medico per forza”, in scena vediamo solo tre attori per tutti i ruoli. Solo voglia di stupire il pubblico con il trasformismo?
«Stupire il pubblico è molto difficile, per cui è comunque una cosa grande e importante. È il sogno di tutti i registi veri. Se un regista dice che questo non lo interessa, è molto probabile che vuole invece ingannarlo, il pubblico, mentirgli. Ma c’è un senso più profondo: perché non si tratta soltanto di cambiare un abito e una forma, come espressione esterna, ma di trasformare l’interno, l’anima. Il trasformismo del Teatro Satirikon unisce nella stessa azione velocissima l’esterno e l’interno, e questa cosa secondo me è un’esperienza fondamentale per ogni attore drammatico, perché la trasformazione è la qualità superiore dell’attore».
Come definirebbe il suo teatro?
«È un po’ strano, non è facile… Perché ho un’immagine molto chiara del mio teatro, ma devo formularla attraverso il mio lavoro, non con le parole. Inventare parole per definire, non è il mio lavoro. Il mio teatro, poi, è legato con l‘energia, con l’attitudine umana istrionica. Per cui chiuderlo in una definizione è’ difficile per me, come dare una definizione dell’amore». —
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