Rachid Taha a Dedica: «In Francia la paura non ha vinto»

Parla il musicista franco-algerino al Verdi per la chiusura del festival: «La mia musica è come il cous cous». «Parigi non ha paura, la classe politica sí»

PORDENONE. La musica allora. Tradizione vuole che il saluto di Dedica, la rassegna pordenonese che ogni anno punta i riflettori su un solo autore mettendone in luce non solo la produzione letteraria, ma anche le varie connessioni che la sua scrittura riesce a generare, avvenga con un grande concerto conclusivo. ù

E cosí  sabato alle 20.45 al Verdi di Pordenone, il commiato di Dedica a Yasmina Khadra, si giocherà sulle note rock pop-raï del musicista algerino Rachid Taha. Carriera lunga, quella di Taha, oltre trent’anni di musica rock contaminata da quello che nel rock è passato nel frattempo, Patti Smith, Robert Plant, Faudel e Cheb Khaled, per fare qualche nome degli artisti con cui ha duettato, compreso l’incontro con i Clash.

«Amavo e amo tutt’ora la loro musica - ci dice Rachid Taha in una rocambolesca intervista poco prima della partenza per Pordenone -, per me i Clash rappresentano una rivoluzione musicale e coincidono con il cambiamento politico che ho vissuto in Francia alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, dopo trent’anni di governo della destra. Una rivoluzione che è stata come una primavera senza fiori, però».

E di questa connessione è rimasta una traccia in uno dei successi piú noti di Rachid Taha, quella sua cover “Rock the Casbah” dove il “melting” appare cosí naturale da sembrare persino ovvio che la lingua rock sia alla fine una specie di gesto universale. L’incontro con la scrittura di Yasmina Khadra, in musica ovvio, coincide invece con le musiche composte da Taha per il film “Morituri” tratto uno dei libri di maggior successo dell’autore algerino celebrato nei giorni di “Dedica”.

A Pordenone, Rachid Taha suonerà accompagnato da quattro musicisti, Kenzi Bourras alla tastiera, Hakim Hamadouche all’oud, Franck Mantegari alla batteria e Juan de Guillebon al basso e, oltre a riprendere i brani classici che l'hanno reso famoso, presenterà al pubblico del festival alcuni dei suoi nuovi pezzi, offrendo cosí ampia prova del suo stile unico e della sua atipica identità di musicista, che sa far convergere due orizzonti culturali fondendo in maniera personalissima la musica occidentale con la tradizione nordafricana.

Cosa succederà sul palco pordenonese?

Lei sa cos’è il cous cous, lo ha mai assaggiato?

Beh, sí, non tanto spesso, ma non capisco cosa c’entri?

La mia musica è come il cous cous, una pietanza ricca di ingredienti e di sapori. Cosí è il mio spettacolo, una ricchezza infinita di colori e di sapori, di ritmi e di suoni. Ecco cosa succederà sul palco del teatro che ci ospita. Sarà un concerto festoso, anzi una vera e propria festa in allegria e gioia puro rock ’n’roll condito con il cous cous!

Ci dica qualcosa di piú. Sul repertorio, per esempio.

Faremo il nostro repertorio, certo, ma non solo. Ogni concerto, vede, è un’esperienza nuova e unica ogni volta. Guardi, le faccio un paragone, che spiega immediatamente al pubblico italiano cosa succederà.

Ci dica.

Sarà cosí festoso che sembrerà il Carnevale di Venezia!

Certo, cosí è chiaro. Senta in questo giorni Yasmina Khadra ha parlato dell’umiliazione che provano le persone costrette in una condizione di “sotto cittadinanza”, come origine di violenza e di atti estremi. Lei è d’accordo, come vede le cose nelle banlieu parigine per esempio?

Sono certamente d’accordo con questa visione di Khadra, d’altra parte siamo entrambi parigini e vediamo lo stesso scenario. Tuttavia credo che si stigmatizzi troppo la questione e l’immagine delle banlieu. Sono quartieri in cui convive una grande diversità di situazioni, anzi le posso dire che è il luogo piú ricco della Francia. Nelle banlieu c’è molta creatività, ci sono molti giovani, molti artisti e poeti. Non è solo degrado e emarginazione, situazioni d’altra parte che si vivono anche fuori delle banlieu, mi creda. Nelle banlieu ci vive gente normale, la banlieu è la Francia!

È cambiato qualcosa dopo l’attacco al Bataclan, intendo la vita, la musica?

Assolutamente no! Tutto è come prima, il pubblico va ai concerti, i musicisti suonano, si lavora come prima, e si fa la fatica che si faceva prima. Alla musica, ai concerti dal vivo, ha fatto piú danno Internet che non gli attacchi terroristici.

Ma la gente non ha paura di frequentare le sale da concerto?

La paura non è della gente. Sono i politici ad aver paura, sono loro che temono di perdere parte del loro potere. La gente fa la vita di sempre.

Crede che la musica possa unire le persone?

No, non credo che la musica abbia cosí tanto potere. La musica accompagna la vita, permette di viverla forse meglio, ma il mondo va avanti sempre allo stesso modo, nonostante la musica.

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