Quel legame profondo che ha tenuto unita una famiglia sparpagliata per il mondo

La storia inedita della sorella Gioconda a Udine 

Il 5 gennaio del 1942, durante la notte della vigilia dell’Epifania, il cuore di Tina Modotti si fermò. Nell’epitaffio composto da Pablo Neruda, si legge: «Sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa». Torna alla mente un’opera di Tina Modotti, “Rose” (1924), scattata a Città del Messico, dove l’artista, fotografa, attrice morì a soli 46 anni. Lontana dal Friuli da quando era diciasettenne, aveva lasciato, nella terra di origine, parte della famiglia, qualche petalo di quelle “rose”.

Ed è lì, in quel pezzo di sé rimasto a Udine, che scopriamo una storia struggente, fatta di solitudine e povertà. A svelarla una ricerca condotta dagli studenti del liceo Marinelli, diventata libro, “A cercar nidi” (La Nuova Base), a cura di Marcella Zampieri con la postfazione di Angelo Floramo: 27 storie di “minori discoli” che sembrano usciti dal romanzo “Cuore” di De Amicis come fossero tante piccole e piccoli Franti.

Destini scritti dalla miseria con meta obbligata la Casa di correzione, nella Udine della Grande Guerra. È significativo che a far emergere i discoli dalle carte dell’archivio di stato di Udine siano stati giovani studenti, esempio eccellente di scuola mossa da ricerca, progettualità, passione, attenzione per il territorio.

Un libro che commuove per durezza e verità delle storie, e che sorprende per rigore e compostezza dello studio. Il titolo, “A cercar nidi”, svela il motivo per cui un bambino di 9 anni fu «internato nell’Istituto»: «Poteva incorrere a qualche pericolo, fra i quali quello di cercare nidi sui coperti delle case». In quel “cercare” c’è il diritto alla libertà e al gioco, in quel “nido” forse c’è il bisogno di casa e certezze.

Tra le storie, anche quella della sorella di Tina Modotti, Valentina detta Gioconda. Nata in Carinzia nel 1899, rientra con la famiglia a Udine nel 1905, dove frequenta la scuola femminile Dante Alighieri insieme alla sorella Tina, più grande di tre anni, sostenute dai sussidi del Comune a causa delle difficoltà economiche. Alla fame si aggiunge la guerra, che impedisce il ricongiungimento tra il padre, Tina e la sorella Mercedes, emigrati già in America, e la madre con gli altri quattro figli da sfamare, rimasti a Udine.

Il fascicolo di Gioconda racconta i tentativi materni di collocare la figlia sedicenne in istituto, colpevole di ozio e impertinenza, ma senza il «vizio delle mani né nell’onore». Si tratta di un disperato intento di sottrarla alla povertà, offrirle un’alternativa, salvarla dai pericoli. La domanda viene respinta e Gioconda rimane incinta nel 1917 di un soldato. Dei Modotti, a Udine, nel 1920, resteranno lei, una zia e il figlio della guerra, Tullio.

Per una strana legge ereditaria, il destino della madre ricade sul figlio. Anche Gioconda farà domanda per collocare il piccolo, di «carattere violento», in una casa di correzione. Siamo nel 1929. Il tribunale respinge la richiesta, forse perché lo stato fascista non intende mantenere in collegio il nipote della zia Tina comunista, che tenta invano di accoglierlo in Messico, o forse per la macchia di “figlio illegittimo”, a cui rimedia zia Mercedes dandogli il cognome Cosolo del compagno. Gioconda si trasferì col figlio Tullio a Trieste nel 1930. Morì nel 1967.

Un legame, come un profumo di rose, quelle fotografate a Città del Messico o rievocate da Neruda, univa i membri dispersi della famiglia. Così scrive Tina: «Per me il ricordo della nostra santa madre è come un legame che ci tiene spiritualmente uniti, malgrado la distanza che ci separa».

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