Jerry Calà a Pradamano: il sound vintage che coniuga musica e gag
Il recital Una vita di libidine al Riviera Lounge: «È la colonna sonora dei miei lungometraggi»

È passato il tempo di un respiro, almeno così pare, e Jerry Calà ha già messo in cascina oltre cinquant’anni di frenetica carriera, colma di successi, di modi di dire — “Non sono bello, piaccio”. “Capito!!” — di film, una cinquantina, di cabaret, insomma “Una vita da libidine” che poi è l’insegna di un recital che sta battendo a tappeto le città italiane, Udine compresa.
Giovedì 19 giugno, alle 21, al “Rivera Lounge” di via dei Boschi a Pradamano, il suo one man show musicale, in compagnia di tre vecchi amici quali Stefano Sirianni, Hermes Locatelli e Sabino Barone, sarà un’esplosione di sound vintage che tanto bene fa allo spirito di noi umanità contemporanea in preda al panico.
Nella sua biografia c’è scritto: nato a Catania. Ma va?
«Eh sì. Mica per niente mi chiamo Calogero Alessandro Augusto. Poi, vabbé, mio padre fu trasferito a Verona e iniziò un’altra vita».
Il titolo dello spettacolo indica il senso di un lungo cammino. È andata esattamente così, un’esistenza di libidine?
«Ci gioco su, certo. Sono un portatore sano di questa cosa. Ho abitato una carriera bella piena, lo ammetto, e la trave portante della performance che vedrete a Udine è la colonna sonora dei miei lungometraggi, dei live nei teatri, insomma di tutti quei luoghi che mi hanno visto passare. Pensi a “Sapore di mare”: tutto il miglior sound dei Sessanta è stato fatto risuonare in Versilia e pensi a “Vacanze di Natale” riempito di fantastici brani anni Ottanta. Che poi grazie al cinema tanta musica è tornata a rivivere una gioventù inaspettata».
In questo tour si sente un po’ Billo, il pianista acchiappa femmine delle vacanze cortinesi?
«Quel ruolo lì, è vero, mi è rimasto incollato addosso e c’è molto Billo in Jerry che canta ancora, che intrattiene e che sa come far divertire il pubblico».
Lei sa che esiste in commercio un modellino di Mini Turbo rossa con il pupazzetto di Billo in montone pronto a scendere dall’auto per farsi travolgere dal Natale più glamour del 1983?
«Sì, pazzesco. Sono rimasto di sale quando mi telefonarono per dirmelo. Be’, forse con lui avevo fatto centro oltre quarant’anni fa».
Com’è diventato il Luca di “Sapore di mare”?
«Fu il primo grande successo dei Vanzina. Anzi, no, prima esplosero “I fichissimi”, che incassò una cosa come 9 miliardi con 470 milioni di costo. “Sapore di mare” non solo esaltò tutti noi attori, ma anche i cantanti dei ’60 tornati d’un botto nelle compilation. Ma c’è di più: in quel film io non avrei dovuto esserci, perché il diktat vanziniano era di far debuttare volti nuovi e io non lo ero affatto e, in più, costavo troppo, mi dicevano. Comunque ci provai, “dai fatemi almeno leggere il copione!” Alla fine dissi fra me e me: questa è roba davvero tosta. E firmai un contratto a percentuale».
Scusi Calà, ma è vero che il film non l’avete girato tutto a Forte dei Marmi? Il mito della Capannina e via dicendo?
«Detto fra noi, ma solamente fra noi, è vero, sì. Al Forte ci siamo stati una settimana per gli esterni. Qualche spiaggia è stata un po’ camuffata, tipo Fregene, ecco. Il cinema è finzione, questo è».
Da “Vado a vivere da solo”, il suo debutto da protagonista, ha riempito una cinquantina di pellicole.
«Eh già e non soltanto commedie. Sono stato agli ordini di Marco Ferreri, di Pupi Avati, di Marco Risi, insomma, non mi è mancata la scelta».
Facciamo un salto all’indietro al Derby di Milano degli anni d’oro?
«Diciamo che cominciai da bimbo in famiglia a imitare Celentano che imitava Jerry Lewis. In seguito arrivò il Derby di Cochi e Renato, di Jannacci, di Funari e di Faletti, c’era il mondo che poi ha generato il domani dello spettacolo italiano. È stata, per noi giovani di allora, una magnifica università».
L’inizio del tutto fu però un liceo veronese dove lei conobbe Salerno, Oppini e Smaila.
«Avevamo un teatrino per due esibizioni l’anno. Stavamo bene assieme e con naturalezza si formarono i “Gatti di Vicolo Miracoli”. Il vicolo è, in realtà, una stradina della città dove un tempo convivevano un bordello e una agenzia di riscossione delle tasse».
E i gatti?
«Un animale sornione che sta a guardare, molto indipendente e furbo».
Lei è un nostalgico, Jerry...
«La nostalgia non mi appartiene proprio, preferisco tirare sempre dritto verso il futuro».
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